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Pellegrinaggio a Roma: Come 551 scalini sulla cupola di San Pietro hanno cambiato la mia vita

Di: Riccardo Bianco

Aggiornato: 3 Giugno 2025
9 minuti

"Vincere in cima alla cupola di San Pietro": Il viaggio che ha trasformato la mia battaglia contro il cancro durante il Giubileo 2025

551 scalini di speranza: L'incontro con Papa Leone XIV e la sfida della cupola che ha cambiato il mio pellegrinaggio giubilare.

Roberto, 72 anni, Torino.

La chiamata irresistibile di Roma: quando il Giubileo diventa l'ultima speranza

Da quando ho scoperto il cancro, due anni fa, il tempo ha assunto una dimensione diversa. Le giornate scorrono con una strana doppia velocità: lentissime nell'attesa tra una terapia e l'altra, eppure fulminee nella consapevolezza della loro finitezza.

I medici non hanno mai quantificato, non hanno mai pronunciato quei numeri che tutti i malati temono e desiderano conoscere. Mesi? Anni? La loro reticenza è diventata parte della mia quotidianità.

In questo limbo temporale, la notizia del Giubileo 2025 e l'elezione del nuovo Papa Leone XIV hanno risvegliato qualcosa che credevo sopito. L'idea di un pellegrinaggio a Roma, che in altre circostanze avrei rimandato a un imprecisato "più avanti", è diventata improvvisamente urgente, necessaria.

"Se non ora, quando?", mi sono chiesto, con quella lucidità che solo chi guarda la propria mortalità negli occhi può conoscere.

Bianco Viaggi e il gruppo di pellegrini: un mosaico di anime in cerca di senso

Il treno è arrivato a Roma Termini con un ritardo minimo, quasi un miracolo ferroviario. Francesco, la nostra guida di Bianco Viaggi, attendeva con pazienza all'uscita del binario, un uomo sulla cinquantina con occhi gentili e una calma contagiosa.

Guardando il gruppo che si stava formando, ho notato qualcosa di insolito: non eravamo i soliti pellegrini anziani che mi aspettavo. C'era una giovane coppia con un bambino di pochi anni, un gruppo di universitari, un uomo in carrozzina.

La malattia mi ha insegnato a osservare con più attenzione, a cogliere dettagli che prima mi sfuggivano. In questi volti diversi ho intravisto la stessa ricerca, lo stesso bisogno che mi aveva spinto fin qui.

"Non siamo turisti, siamo pellegrini," ha detto Francesco durante il breve tragitto verso l'albergo. "La differenza non sta nei luoghi che visiteremo, ma nel modo in cui li vivremo."

Parole semplici, eppure in quel momento hanno risuonato con una profondità inaspettata.

La Porta Santa di San Giovanni in Laterano: attraversare la soglia del Giubileo

Il nostro pellegrinaggio è iniziato con l'attraversamento della Porta Santa in San Giovanni in Laterano. La fila era considerevole, ma Francesco aveva organizzato tutto in modo che l'attesa non fosse eccessiva.

Mentre ci avvicinavamo lentamente alla soglia, ho osservato le reazioni degli altri pellegrini. Chi piangeva silenziosamente, chi pregava a labbra strette, chi sembrava quasi intimidito. Io? Sentivo una strana calma, come se stessi compiendo un gesto che, in qualche modo misterioso, era già scritto.

Varcata la Porta Santa del Giubileo, la maestosità della basilica mi ha avvolto. C'è qualcosa nelle antiche chiese romane che sfida la comprensione razionale: sono spazi concepiti per far sentire l'uomo contemporaneamente piccolo di fronte all'immensità divina e infinitamente prezioso per essere stato cercato da tale immensità.

Ho camminato lentamente lungo la navata centrale, ignorando la stanchezza che, dopo la chemio della settimana precedente, si faceva sentire più del solito. Mi sono fermato davanti all'altare del Santissimo, un piccolo spazio laterale dove il silenzio sembrava più denso.

Una donna anziana, inginocchiata accanto a me, ha sussurrato qualcosa nella sua lingua, forse polacco. Non ho compreso le parole, ma il tono mi è sembrato così familiare. Era lo stesso con cui io parlavo nei momenti più bui della malattia: una mescolanza di supplica e gratitudine, di ribellione e accettazione.

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Udienza papale del mercoledì: quando lo sguardo di Papa Leone XIV ha cambiato tutto

L'alba ci ha trovato già in cammino verso Piazza San Pietro. Francesco ci aveva avvertito: "Per avere una buona posizione all'udienza del mercoledì con Papa Leone XIV dobbiamo arrivare presto." L'energia che ho trovato per alzarmi alle cinque, nonostante il corpo dolorante, mi ha sorpreso.

La piazza si è riempita gradualmente di pellegrini per il Giubileo. Una famiglia brasiliana si è sistemata accanto a noi, il padre traducendo continuamente per i bambini eccitati. Una suora anziana leggeva il breviario con concentrazione assoluta, come se fosse sola in una stanza silenziosa invece che in mezzo a migliaia di persone.

Quando la papamobile è apparsa in lontananza, un mormorio si è diffuso tra la folla, crescendo gradualmente fino a diventare un applauso, poi grida di gioia, poi canti in diverse lingue. Era come un'onda sonora che si propagava attraverso la piazza.

Papa Leone XIV ha percorso lentamente il tragitto prestabilito, fermandosi spesso per benedire i malati, accarezzare i bambini, scambiare qualche parola con i fedeli in prima fila. Francesco, con quell'intuito speciale che distingue le guide eccellenti di Bianco Viaggi, era riuscito a posizionarci in un punto strategico.

"Guardi, sta venendo da questa parte," mi ha sussurrato, indicando la papamobile che effettivamente stava dirigendosi verso il nostro settore.

Non sono un uomo incline all'emozione facile, meno ancora dopo che la malattia ha ridimensionato molte delle mie reazioni. Eppure, mentre il Papa si avvicinava, ho sentito qualcosa sciogliersi dentro di me, come un nodo che finalmente si allenta.

Quando è arrivato all'altezza del nostro gruppo, Papa Leone XIV ha rallentato ulteriormente. Il suo sguardo ha percorso i volti davanti a lui e, per un istante che sembrava contenere l'eternità, si è posato sul mio. Non c'è stato nessun gesto eclatante, nessuna parola pronunciata direttamente a me. Solo quello sguardo, calmo e penetrante, e un lieve cenno del capo, quasi impercettibile.

In quel momento non ho pensato a nulla. Era come se il tempo si fosse fermato e con esso ogni pensiero. Solo più tardi, ripensando a quell'istante, ho compreso che qualcosa di profondo era avvenuto in quello scambio silenzioso.

Nel suo discorso dell'udienza, Papa Leone XIV ha parlato della speranza come virtù necessaria nel nostro tempo frammentato. "La speranza cristiana," ha detto con la sua voce pacata ma ferma, "non è un ottimismo ingenuo che ignora le difficoltà. È piuttosto la certezza che, anche nel cuore della sofferenza, siamo abitati da una presenza che non ci abbandona."

Quelle parole sono penetrate in me come gocce di pioggia in una terra arida. Non risolvevano il mistero della sofferenza, non promettevano guarigioni miracolose, ma offrivano una prospettiva che potevo abbracciare anche nella mia condizione.

La sfida della cupola di San Pietro: un percorso di 551 scalini che ha cambiato la mia vita

L'ultimo giorno del nostro pellegrinaggio giubilare prevedeva la visita alla Basilica di San Pietro e la salita alla cupola. Francesco ci aveva avvertito: "Sono 551 scalini. È una salita impegnativa. C'è un ascensore che copre parte del percorso, ma gli ultimi 320 gradini vanno fatti a piedi. Chi non se la sente può limitarsi a visitare la basilica."

Osservando il mio corpo segnato dalla malattia, sapevo che la scelta razionale sarebbe stata rinunciare. Eppure, qualcosa dentro di me – la stessa voce che mi aveva spinto a intraprendere questo pellegrinaggio a Roma – insisteva che dovevo tentare.

"Verrò con voi," ho detto a Francesco, che mi ha guardato con un misto di sorpresa e rispetto.

"Bene, ma promettiamo una cosa: se in qualsiasi momento sente che è troppo, ci fermiamo. Non c'è nessuna vergogna nel conoscere i propri limiti."

Ho annuito, grato per la comprensione.

La prima parte del percorso, fino all'ascensore, è stata relativamente agevole. Poi è iniziata la vera sfida. I gradini della cupola di San Pietro non sono regolari: alcuni sono più alti, altri più stretti. La scala si restringe progressivamente, e in alcuni punti le pareti laterali sono inclinate, costringendo a procedere leggermente piegati.

Dopo i primi cento gradini, il fiato ha iniziato a mancarmi. Le gambe, già indebolite dalle terapie, protestavano a ogni passo. Ho dovuto fermarmi diverse volte, appoggiandomi alla parete, cercando di normalizzare il respiro.

Francesco è rimasto sempre accanto a me, paziente, senza mai dare segni di impazienza. A un certo punto ha iniziato a raccontarmi della costruzione della cupola, di Michelangelo che l'aveva progettata e di Giacomo della Porta che l'aveva completata dopo la sua morte.

"Michelangelo sapeva che non avrebbe visto completata la sua opera," ha detto Francesco mentre riprendevamo lentamente la salita. "Eppure ha continuato a lavorarci fino all'ultimo dei suoi giorni."

Quella storia mi ha colpito profondamente. Quanti progetti incompiuti lasciamo dietro di noi? Quante opere che altri completeranno? La vita, forse, è questo passaggio di testimone continuo, questo contribuire a una cattedrale che non vedremo mai finita.

A circa metà percorso, in un momento di particolare difficoltà, ho guardato in basso, verso la scala a spirale già percorsa. Era una visione ipnotica: i gradini che sembravano avvolgersi intorno a un centro invisibile, come il DNA della basilica stessa.

In quel momento ho avuto un'intuizione che mi ha dato la forza di continuare: ogni passo di quella salita era come un giorno della mia battaglia contro il cancro. Difficile, faticoso, apparentemente senza fine. Eppure, guardando indietro, potevo vedere il cammino già percorso, i giorni già attraversati, le piccole vittorie accumulate.

"Se sono arrivato fin qui," mi sono detto, "posso continuare ancora un po'."

L'ultimo tratto è stato il più difficile. La scala si restringe ulteriormente, l'aria diventa più rarefatta, le gambe sembrano di piombo. Ma c'è anche la consapevolezza della meta che si avvicina, quella luce che filtra dall'alto e che promette la fine dello sforzo.

Quando finalmente sono emerso sulla terrazza circolare alla base della cupola, il panorama di Roma mi ha tolto il poco fiato rimasto. La città eterna si estendeva in tutte le direzioni, con i suoi monumenti, le sue chiese, i suoi colori ocra e terracotta. Il Tevere serpeggiava placidamente, riflettendo il sole del mattino.

Ma più della vista, è stata la sensazione di conquista a travolgermi. Ce l'avevo fatta. Contro ogni previsione razionale, contro i limiti del mio corpo malato, ero arrivato in cima.

Francesco si è avvicinato, un sorriso discreto sul volto.

"Vede quella finestra laggiù?" ha chiesto, indicando un punto nel palazzo apostolico. "È lo studio del Papa. Da lì si affaccia per l'Angelus domenicale."

Ho seguito la direzione del suo dito, immaginando Papa Leone XIV che guardava la stessa città che ora si stendeva sotto di me. Il suo sguardo e il mio, separati nel tempo ma uniti nello stesso panorama.

Francesco ha continuato a mostrarmi dettagli della costruzione della cupola, indicando le firme di Michelangelo nascoste negli affreschi, spiegando il sistema ingegnoso di contrafforti che sostiene l'intera struttura.

"La cupola poggia su quattro pilastri," ha spiegato. "Sembrano immobili, ma in realtà sono in costante, impercettibile movimento. Si espandono con il calore, si contraggono con il freddo. Respirano, in un certo senso."

Quella descrizione mi ha colpito come una rivelazione. Anche ciò che sembra più solido, più immutabile, in realtà è vivo, in movimento, in costante adattamento. Come la fede stessa, forse. Non un monolite rigido, ma un organismo vivente che respira con noi, che si espande e si contrae con i nostri dolori e le nostre gioie.

Tornare a casa dopo il pellegrinaggio: quando Roma continua a vivere dentro di te

Il viaggio di ritorno verso Torino è stato silenzioso. Ognuno di noi era immerso nei propri pensieri, elaborando quanto vissuto in quei tre intensi giorni di pellegrinaggio a Roma per il Giubileo 2025.

Guardando fuori dal finestrino, osservando il paesaggio italiano che scorreva veloce, ho ripensato alla salita sulla cupola di San Pietro. Quei 551 scalini erano diventati una metafora della mia vita attuale: una salita difficile, sì, ma che offre, a chi persevera, una prospettiva completamente nuova.

Da lassù, i problemi della vita quotidiana – persino la malattia – apparivano in una luce diversa. Non scomparivano, certo, ma si inserivano in un contesto più ampio, in un disegno più vasto che, anche senza comprenderlo pienamente, potevo intuire.

Non so quanto tempo mi resta. I medici continuano nella loro cauta reticenza, e io ho smesso di chiedere. Ma so che qualcosa è cambiato in me durante quel pellegrinaggio a Roma. Non è stata una guarigione fisica – le analisi fatte al ritorno mostrano che il cancro è ancora lì, insidioso, resistente. È stata piuttosto una guarigione dello sguardo, un modo nuovo di vedere la mia condizione.

Come dalla cima della cupola vedevo Roma nella sua interezza, ora riesco a vedere la mia vita non solo nel frammento presente di sofferenza, ma nella sua totalità: il passato con i suoi doni e le sue ferite, il presente con la sua sfida, e persino un futuro che, per quanto incerto, non è privo di significato.

"Dal pellegrinaggio a Roma sono tornato con una nuova serenità che tutti mi riconoscono," ho detto al mio medico durante l'ultima visita. Mi ha guardato con curiosità professionale, forse chiedendosi se questa serenità fosse un semplice effetto placebo destinato a svanire.

Ma io so che non è così. Ciò che ho trovato nei 551 scalini della cupola di San Pietro è qualcosa di più duraturo: la certezza che, anche nella salita più difficile, non siamo mai completamente soli. E che, a volte, è proprio quando le nostre forze sembrano venire meno che scopriamo risorse interiori che non sapevamo di possedere.

Oggi, quando la fatica della malattia si fa sentire, chiudo gli occhi e mi ritrovo sulla cima di quella cupola, con Roma ai miei piedi e il cielo infinito sopra di me. E in quello spazio interiore, ritrovo la pace che Papa Leone XIV ha menzionato durante l'udienza: non l'assenza di difficoltà, ma la presenza di un significato che le trascende.

Se anche tu desideri vivere l'esperienza trasformativa di un pellegrinaggio a Roma durante il Giubileo 2025, con la possibilità di partecipare all'udienza con Papa Leone XIV e salire sulla cupola di San Pietro, partecipa ad uno dei nostri pellegrinaggi di 3 giorni con partenza in treno e ritrovo alla stazione Termini.

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