Non avrei mai immaginato che varcare una porta potesse cambiarmi la vita. Eppure è successo, a 67 anni, quando credevo che ormai nulla potesse più sorprendermi.
Giovanni, 67 anni, Udine
"Zio, vieni con me al pellegrinaggio per il Giubileo?" La voce di mio nipote al telefono suonava entusiasta. Ho accettato quasi per fargli un favore. Era il mio terzo viaggio con Bianco Viaggi - sapevo che l'organizzazione sarebbe stata impeccabile - ma questa volta qualcosa dentro di me opponeva resistenza.
Resistenza a cosa? Non lo sapevo ancora.
La mattina dell'arrivo a Roma Termini, il nostro gruppo si è formato sotto il grande orologio della stazione. Antonio, la nostra guida, ci ha accolto con uno sguardo che sembrava leggerti dentro.
"Questo non è turismo," ci ha detto mentre ci avviavamo verso l'albergo. "Questo è un viaggio dell'anima."
Ho alzato mentalmente gli occhi al cielo. Frasi fatte, ho pensato. A 67 anni sono immune a questi romanticismi spirituali.
Mi sbagliavo. Oh, quanto mi sbagliavo!
Il nostro albergo era modesto ma pulito, a pochi passi da Castel Sant'Angelo. Dalla mia finestra potevo vedere la cupola di San Pietro che si stagliava contro il cielo romano. Era una vista che avrebbe dovuto emozionarmi, eppure sentivo solo una strana inquietudine.
Durante la cena, Antonio ci ha illustrato il programma dei tre giorni. Un itinerario perfetto: le quattro basiliche maggiori, l'udienza con Papa Leone XIV, momenti di preghiera e riflessione. Gli altri pellegrini sembravano entusiasti. Io sorridevo educatamente, nascondendo quella sensazione di distacco che non riuscivo a spiegarmi.
La sera prima di visitare San Pietro, Antonio ci ha riuniti in una piccola chiesa nascosta. Le candele creavano ombre danzanti sulle pareti antiche. Nel silenzio, ci ha fatto una domanda che mi ha colpito come un pugno allo stomaco:
"Da cosa desiderate essere liberati?"
Le parole sono risuonate nella chiesa vuota. Gli altri hanno abbassato lo sguardo, persi nei loro pensieri. Io ho sentito un brivido percorrermi la schiena.
Antonio ha continuato: "Il Giubileo è tempo di riconciliazione, di perdono ricevuto e offerto. Domani attraverserete la Porta Santa. Non è solo un passaggio fisico, ma spirituale. Portateci ciò che vi pesa sull'anima."
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Quella notte non ho dormito. Il volto di mio fratello maggiore continuava ad apparirmi. Vent'anni di silenzio per un'eredità contesa, parole avvelenate mai ritrattate, compleanni e Natali persi. Un vuoto che fingevo di non sentire.
Mi rivedevo in tribunale, gli occhi di mio fratello pieni di rabbia. "Per me sei morto," mi aveva detto quel giorno. E da allora, per vent'anni, lo eravamo stati l'uno per l'altro: morti viventi, fantasmi di un legame spezzato.
"È ridicolo," mi sono detto girandomi nel letto. "Sono venuto a Roma per pregare, non per rivangare vecchie ferite familiari."
Ma qualcosa si era mosso dentro di me. Una diga che iniziava a incrinarsi.
La mattina dopo, Piazza San Pietro era gremita di pellegrini. Code interminabili serpeggiavano attraverso il colonnato del Bernini. Ma Antonio, come aveva promesso, ci ha guidati lungo un percorso privilegiato.
"Uno dei vantaggi di viaggiare con Bianco Viaggi," ha sussurrato una signora del nostro gruppo con un sorriso complice.
In fila per la Porta Santa di San Pietro, sentivo il cuore battere forte. La folla attorno a me sembrava svanire. Vedevo solo quella porta, antica e maestosa.
"È solo legno e bronzo," mi ripetevo. "Solo un simbolo."
Poi è arrivato il mio turno.
Ho fatto un passo, poi un altro. E in quei pochi secondi, mentre attraversavo la soglia, è accaduto qualcosa che non so spiegare.
Non luci mistiche o voci dal cielo. No.
È stato come se il tempo si fermasse. Ho visto scorrere la mia vita come un film: gioie, dolori, successi, fallimenti. E poi, nitido come se fosse davanti a me, il volto di mio fratello. Non quello arrabbiato dell'ultima lite, ma quello sorridente della nostra giovinezza.
Immagini dimenticate sono riaffiorate: io e lui che pescavamo nel fiume vicino casa, le corse in bicicletta, le serate a studiare insieme, lui che mi consolava quando avevo paura dei temporali. Mio fratello che mi proteggeva dai bulli del quartiere, io che lo aiutavo con la matematica.
Come avevamo potuto dimenticare tutto questo? Come avevamo permesso a un'eredità, a dei soldi, di cancellare quarant'anni di vita condivisa?
Le lacrime sono arrivate senza preavviso. Mi sono fermato appena dentro la basilica, incapace di muovermi.
Una signora mi ha toccato gentilmente il braccio: "Sta bene?"
Non riuscivo a rispondere. Stavo bene? Sì, in un modo nuovo, doloroso e liberatorio insieme.
Il giorno dopo, l'udienza con Papa Leone XIV. Ci siamo svegliati all'alba per assicurarci posti in prima fila. Un altro vantaggio di viaggiare con Bianco Viaggi: settori riservati, vicini al passaggio della papamobile.
"Vale la pena alzarsi presto," ci ha assicurato Antonio. "Questo Papa ha un dono speciale. Quando parla, sembra che si rivolga personalmente a ciascuno."
La piazza vibrava di emozione. Canti in diverse lingue, bandiere colorate, bambini sulle spalle dei genitori. Io ero stranamente calmo, come se sapessi che stava per accadere qualcosa d'importante.
L'attesa è stata lunga ma non pesante. I pellegrini attorno a noi condividevano storie, panini, bottiglie d'acqua. Una famiglia brasiliana alla nostra destra ci ha offerto dolci tipici del loro paese. Una coppia di anziani francesi ha mostrato foto dei nipoti. In quelle ore di attesa, sconosciuti sono diventati amici.
Quando la papamobile è entrata, un boato di gioia ha attraversato la folla. Papa Leone XIV salutava con quel suo sorriso particolare che sembra dedicato personalmente a ciascuno.
Era la prima volta che lo vedevo dal vivo. In televisione appariva già carismatico, ma di persona... c'era qualcosa di magnetico nella sua presenza. I suoi occhi azzurri brillavano di una luce speciale mentre si fermava spesso per benedire i malati, accarezzare i bambini, stringere mani che si tendevano verso di lui.
Si è avvicinato al nostro settore, rallentando.
E poi è successo.
I suoi occhi hanno incrociato i miei. Un attimo, niente di più. Ma in quello sguardo ho sentito una certezza potente: dovevo chiamare mio fratello. Ora.
Non era uno sguardo qualunque. Era come se avesse visto dentro di me, come se conoscesse il peso che portavo. E in quell'istante ho sentito che quel peso poteva essere deposto.
Il discorso del Papa quel giorno parlava di riconciliazione. "La pace nel mondo inizia dalla pace nei cuori," ha detto con quella sua voce calma e profonda. "E la pace nei cuori inizia dal perdono."
Ogni parola sembrava diretta a me. Quando ha citato la parabola del figliol prodigo, ho sentito le lacrime salire di nuovo.
"Non è mai troppo tardi," ha detto Papa Leone XIV verso la fine del suo discorso. "Non esiste ferita che l'amore non possa guarire."
Tornato in albergo, con le mani tremanti, ho composto il numero che non chiamavo da vent'anni. L'avevo ancora memorizzato, anche se avevo giurato a me stesso che non l'avrei mai più usato.
Tre squilli, poi la sua voce, invecchiata ma inconfondibile.
"Pronto?" Un tono guardingo, forse già consapevole che non era una chiamata qualunque.
"Sono Giovanni," ho detto, la voce rotta dall'emozione.
Silenzio. Potevo sentire il suo respiro dall'altra parte.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
"Sono stato a Roma," ho continuato senza preamboli. "Ho attraversato la Porta Santa. E ho capito che devo chiederti perdono."
Silenzio dall'altra parte. Poi un singhiozzo soffocato.
"Giovanni," ha sussurrato infine, "aspettavo questa chiamata da così tanto tempo."
Non so chi dei due ha pianto di più in quella conversazione. Abbiamo parlato per ore. Di tutto e di niente. Del passato, dei nostri genitori, dei nipoti che non si conoscevano tra loro, di malattie superate, di sogni realizzati e abbandonati.
"Sai," mi ha detto a un certo punto, "anch'io ho pensato spesso di chiamarti. Ma l'orgoglio..."
"Lo so," ho risposto. "È un muro più alto della Porta Santa."
Abbiamo riso insieme per la prima volta in vent'anni. E alla fine, abbiamo deciso di incontrarci.
Due settimane dopo il mio ritorno a Udine, ho aspettato mio fratello al caffè della piazza principale. L'ho riconosciuto subito, nonostante i capelli bianchi e la schiena leggermente curva. Aveva il mio stesso passo esitante.
Ci siamo guardati per un lungo momento, poi ci siamo abbracciati. Un abbraccio goffo all'inizio, poi sempre più forte, come per recuperare tutti quelli persi.
"Sei diventato vecchio," mi ha detto con un sorriso.
"Guarda chi parla," ho risposto.
Era come se quegli anni di silenzio non fossero mai esistiti. O meglio, esistevano, ma come una lezione appresa, non più come una barriera.
"Cosa ti ha fatto cambiare idea?" mi ha chiesto mentre prendevamo un caffè.
Gli ho raccontato della Porta Santa, dello sguardo del Papa, di quella sensazione indefinibile di essere stato lavato dentro.
Ha ascoltato in silenzio, senza interruzioni. Poi ha detto una cosa che non mi aspettavo:
"Forse dovrei andarci anch'io a questo Giubileo."
"Ci andiamo insieme," ho risposto senza esitazione. E così è stato.
Un mese dopo eravamo di nuovo a Roma, questa volta come fratelli ritrovati. A 67 e 70 anni, come due giovani in cerca di avventura. Abbiamo scelto ancora Bianco Viaggi, e Antonio ci ha riconosciuti subito.
"Due fratelli ora," ha commentato con un sorriso, come se avesse sempre saputo che sarebbe finita così.
Attraversare di nuovo la Porta Santa, questa volta con mio fratello al fianco, è stata un'esperienza che non dimenticherò mai. Gli ho stretto la mano mentre varcavamo quella soglia insieme, un gesto semplice che racchiudeva un intero mondo ritrovato.
Oggi, quando qualcuno mi chiede del Giubileo, fatico a trovare le parole giuste. Come spiegare che tre giorni a Roma hanno guarito vent'anni di ferite? Come descrivere quel momento in cui, attraversando una porta, ho ritrovato non solo mio fratello, ma anche me stesso?
"Viaggiare con Bianco Viaggi è sempre una garanzia," dico a chi me lo chiede. "Ma l'incontro con Papa Leone XIV in piazza San Pietro... quello è stato il momento che ha cambiato tutto. Quando è passato vicino a noi con la papamobile e i suoi occhi hanno incrociato i miei, ho sentito una gioia che credevo perduta per sempre."
Mio fratello e io ora ci vediamo ogni settimana. I nostri figli, cugini che si erano persi, stanno recuperando il tempo perduto. L'estate scorsa abbiamo affittato insieme una casa al mare, come facevamo da giovani con i nostri genitori.
A volte, la sera, sediamo in silenzio guardando il tramonto. Non c'è bisogno di molte parole tra noi. Sappiamo entrambi quanto siamo stati fortunati a ritrovarci.
"Sai cosa penso?" mi ha detto una volta mio fratello. "Che non siamo stati noi a scegliere di andare a Roma. È Roma che ha scelto di chiamarci."
Forse ha ragione. Forse certe porte si aprono dentro di noi proprio quando crediamo che tutte le vie siano ormai chiuse.
Non so spiegare come sia possibile. So solo che è accaduto. E che la mia vita, a 67 anni, è ricominciata attraversando una porta.