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Roma nel cuore: Il racconto sincero di un pellegrinaggio inaspettato

Di: Riccardo Bianco

Aggiornato: 23 Maggio 2025
4 minuti
Argomento: Tag:

Non sono partita per Roma come una turista qualsiasi. Sono partita come una donna di 54 anni con un attacco di panico al giorno e la paura costante che il mondo mi crollasse addosso. Sono tornata diversa. Non miracolata, non trasformata magicamente. Solo più calma, più presente, più capace di respirare.

Lucia, 54 anni, Bari

"Mi hanno trascinata su quel treno"

"Dai, Lucia, ti farà bene." Le mie amiche di Bari insistevano da settimane. Un pellegrinaggio a Roma. Tre giorni via da tutto. Via dalla routine. Via dalle preoccupazioni. Via dagli attacchi di panico che da sei mesi scandivano le mie giornate.

"Non ce la faccio," ripetevo. "E se mi viene un attacco in treno? Se mi sento male a Roma? Se non riesco a dormire in un letto diverso dal mio?"

Ma loro hanno insistito. E io, alla fine, ho ceduto. Solo perché ero troppo stanca per opporre resistenza.

Il treno per Roma è partito alle 7:30 di un venerdì mattina. Ho preso due ansiolitici per salirci. Mi vergogno ad ammetterlo, ma è la verità. Non riuscivo nemmeno a immaginare di allontanarmi dalla mia zona di sicurezza senza quel sostegno chimico.

Alla stazione Termini mi sentivo come un pesce fuor d'acqua. Il caos, la folla, il rumore. Tutti trigger per i miei attacchi. Ma poi ho visto Elen, la nostra guida di Bianco Viaggi, che ci aspettava con un cartello discreto. Il suo sorriso era diverso da quello professionale che mi aspettavo. Era autentico, calmo.

"Benvenuti a Roma," ha detto semplicemente. "Respirate. Siete arrivati."

Respirare. Sembra banale, ma per chi soffre di attacchi di panico, respirare consapevolmente è la prima battaglia di ogni giornata.

Non aspettare di essere pronto. Nessuno lo è mai abbastanza.

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Lo spazio per esistere

L'albergo era semplice, ma la mia stanza aveva una finestra che si apriva su un piccolo cortile interno con un limone. Un limone a Roma, in pieno centro. Quella vista inaspettata è stata il primo regalo.

Il nostro primo giorno prevedeva la visita alla Basilica di San Giovanni in Laterano. Temevo la folla, gli spazi chiusi, la sensazione di soffocamento che spesso precedeva i miei attacchi. Ma Elen sembrava intuire le mie paure.

"Non c'è fretta," mi ha detto mentre esitavo all'ingresso della basilica. "Roma è eterna, può aspettare."

Non so se sapesse dei miei attacchi di panico o se fosse semplicemente abituata a gestire persone ansiose. Ma quel "non c'è fretta" mi ha dato il permesso di procedere al mio ritmo.

La basilica, sorprendentemente, non mi ha oppresso. Al contrario. Quegli spazi immensi, quelle volte altissime... era come se l'architettura stessa mi dicesse: "Qui c'è spazio per respirare. Qui c'è spazio per esistere."

Per la prima volta in sei mesi, ho passato un'intera giornata senza attacchi di panico.

Un incontro nel sottosuolo

Il secondo giorno, Elen ci ha condotto alla Basilica di San Pietro. "Oggi faremo qualcosa di speciale," ha annunciato. "Scenderemo nella necropoli vaticana."

Il mio cuore ha accelerato. Sotterraneo? Spazio chiuso? Buio? Tutti i miei incubi in un colpo solo.

"Posso restare fuori," ho sussurrato a Elen.

Lei mi ha guardato con quei suoi occhi calmi. "Puoi, certo. Ma sarebbe un peccato. Lì sotto c'è un silenzio che parla."

Un silenzio che parla. La frase mi ha colpito.

"Sarò con te," ha aggiunto una signora del gruppo, Maria, che in questi due giorni aveva notato le mie difficoltà. "Ti tengo la mano se serve."

Ho annuito, sorpresa dalla mia stessa decisione.

La discesa nella necropoli è stata graduale. Un passo alla volta. Un respiro dopo l'altro. Le mani strette a quelle di Maria. E, stranamente, più scendevamo, più mi sentivo leggera.

"Qui sotto," ha sussurrato Elen quando siamo arrivati davanti alla tomba di San Pietro, "il tempo si ferma."

Ed era vero. In quel luogo sotterraneo, lontano dal rumore della città, dal frastuono dei miei pensieri, ho trovato un silenzio che non conoscevo. Non un silenzio vuoto, ma pieno. Pieno di storia, di significato, di presenza.

Per la prima volta da mesi, i miei pensieri si sono fermati. Non c'era spazio per la paura, per l'ansia, per l'anticipazione della catastrofe. C'era solo quel momento. Quelle pietre antiche. Quel silenzio eloquente.

Sono risalita diversa. Non guarita, non miracolata. Ma con la sensazione che esistesse un luogo, dentro e fuori di me, dove potevo respirare liberamente.

Non aspettare di essere pronto. Nessuno lo è mai abbastanza.

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Il respiro ritrovato

Il terzo giorno abbiamo visitato Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura. Belle, imponenti, ricche di storia e arte. Ma il vero evento della giornata è stato l'udienza con Papa Leone XIV.

Piazza San Pietro era gremita. Il tipo di situazione che di solito mi mandava nel panico. Eppure sono rimasta. Senza ansiolitici. Respirando lentamente, concentrandomi su ciò che vedevo, non su ciò che temevo.

Quando il Papa è passato sulla papamobile, la folla si è animata, le persone si sono alzate in piedi, hanno agitato le braccia. In mezzo a quel turbinio, io sono rimasta calma. Presente. Viva.

"Non è la fede che muove le montagne," ha detto Papa Leone XIV nel suo discorso, "ma la fiducia nel passo che stiamo facendo in questo momento."

Quelle parole mi hanno colpito come se fossero state pronunciate solo per me. Il passo che stavo facendo in quel momento. Non il futuro con le sue minacce immaginarie. Non il passato con i suoi rimpianti. Ma quel singolo passo.

Il ritorno: una valigia più leggera

Il treno per Bari è partito nel tardo pomeriggio. Nessun ansiolitico questa volta. Solo io, i ricordi di quei tre giorni, e una nuova consapevolezza.

"Come ti senti?" mi ha chiesto Maria, che per coincidenza era di Bari anche lei.

"Come se avessi imparato di nuovo a respirare," ho risposto.

Non è stata una guarigione miracolosa. Gli attacchi di panico non sono scomparsi magicamente dalla mia vita. Ma qualcosa era cambiato. Avevo visto che esisteva uno spazio, dentro e fuori di me, dove potevo trovare pace. Dove potevo respirare. Dove potevo semplicemente essere.

Roma mi aveva insegnato questo. Non con le sue meraviglie artistiche o la sua spiritualità, ma con i suoi spazi di silenzio, con la sua eternità che relativizza le nostre paure temporanee, con la sua capacità di farti sentire piccola e significativa allo stesso tempo.

Ora, quando sento arrivare un attacco di panico, chiudo gli occhi e torno mentalmente nella necropoli vaticana. Ritrovo quel silenzio. Quel respiro. Quella pace.

Questo è ciò che il mio pellegrinaggio a Roma mi ha dato. Non una guarigione istantanea, ma uno strumento per guarire giorno per giorno. Un respiro alla volta.

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