Santa Rita, tu che sei stata madre: conosci l’attesa, la paura, la pazienza. In un tempo di carestia d’amore, insegnaci a tenere la porta socchiusa anche quando fa male.
La cucina è in ordine, ma manca una tazza. Il telefono di Luca è spento da ore. Maria gira il cucchiaino nel latte per non far girare a vuoto i pensieri: chiamarlo ancora? Aspettare? Fingere indifferenza? Ogni madre conosce questo bivio, dove l’amore è forte ma non sa più da che parte spingere. Maria una cosa la sa: vuole continuare ad amare bene, senza cedere al rancore e senza trasformare la paura in controllo.
Una mattina, dopo l’ennesima notte lunga, Maria decide: vado a Cascia. Non per scappare, ma per guardare in faccia la sua impotenza. Prende un foglio, scrive il nome di suo figlio in stampatello grande, lo piega con cura e parte. Il viaggio ha il ritmo delle domande che non trovano risposta, ma anche di una speranza piccola che vuole un posto dove stare.
Al Santuario non ci sono palchi. C’è il profumo di cera, la pietra che regge, il silenzio che non giudica. Maria fa tre gesti semplici: accende una candela, posa una rosa, affida un biglietto con il nome di Luca. Le parole sono poche e precise: “Tienilo tu, quando io non riesco. Insegnami la pazienza che apre e non sbarra”. Santa Rita — che conosce la fatica dell’amore quando graffia — diventa per Maria una compagnia concreta: non promette scorciatoie, le fa spazio dentro il cuore.
Tornata a casa, Maria cambia passo. Non aspetta un segno spettacolare: si affida a cose semplici e forti.
Cerca aiuto competente, perché amare bene a volte è un mestiere che si impara.
Cambia linguaggio: parla in prima persona (“io sento…”, “io mi preoccupo…”) al posto di “tu sbagli sempre”.
Riduce le pressioni e aumenta la presenza: un messaggio breve ogni tanto (“Sono qui”) al posto delle prediche.
Accetta il tempo: non misura chilometri di cambiamento, ringrazia i millimetri.
Questo non le toglie il dolore, ma le restituisce un modo di stare dentro il dolore senza esserne divorata. Cascia non ha chiuso la storia: l’ha illuminata.
Una sera, quasi in sordina, arriva un messaggio: “Mamma, ci sei?”. Poi una telefonata timida: “Ci vediamo?”. L’incontro è semplice, imperfetto, ma vero. Le parole inciampano, poi rallentano, poi trovano una cadenza nuova. Luca accetta un percorso serio; taglia legami che lo tiravano giù; ricomincia a studiare/lavorare con discrezione. Non è discesa né finale in musica: è strada aperta. E l’aperto, quando per mesi hai visto solo muri, è già una festa.
La tazza è tornata al suo posto. Non tutte le mattine sono facili, ma i dialoghi sono più calmi. Maria ha smesso di pretendere risposte perfette: preferisce custodire i progressi possibili. Ogni tanto torna con la memoria a quella candela a Cascia e ringrazia: non per un colpo di scena, ma per un passo sostenuto nel tempo. Sa che i giorni fragili torneranno; sa anche che non sono padroni della storia.
Perché lì Maria ha capito che l’amore non coincide con il controllo e che la speranza ha bisogno di gesti concreti: accendere una luce quando tutto è buio, affidare un nome quando non sai più come chiamarlo, imparare parole che non feriscono. Santa Rita non ha cancellato il cammino; lo ha reso percorribile. Questo ha rimesso in moto madre e figlio.
Questa è una storia vera.
Qui l’amore testardo di una madre, la cura e il tempo hanno camminato insieme alla discreta compagnia di Santa Rita.
Non vendiamo promesse: raccontiamo strade percorribili, dove la speranza prende fiato nei gesti semplici e torna, un giorno alla volta, a casa.