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Curriculum inviati, porte chiuse, settimane che si somigliano. Una mamma che prega. Un pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. E, un giorno, una chiamata che cambia il verso.

Pellegrini pregano e scattano foto davanti al corpo esposto di Padre Pio nella cripta del santuario di San Giovanni Rotondo.

Quando il lavoro si ferma

Per Andrea la ricerca era diventata una seconda professione: annunci salvati, candidature inviate, colloqui fissati e poi rimandati, qualche “le faremo sapere” caduto nel vuoto. Ogni mattina riapriva il file con il suo CV, limava, spediva. Ogni sera contava risposte: quasi mai. Il silenzio del telefono pesava più delle ore spese a cercare.

La scelta di una madre

Sua madre non poteva mandare mail al posto suo, ma poteva fare quello che sapeva: pregare. Senza fare rumore, ha affidato Andrea a Padre Pio. Una candela accesa, il nome scritto su un foglietto, un voto discreto: “Mi metto in cammino, e lì lo affido. Fa’ nascere la strada giusta”.

San Giovanni Rotondo: un affidamento semplice

A San Giovanni Rotondo non ci sono scorciatoie. C’è la Messa del mattino, la discesa lenta verso la cripta, il corridoio che profuma di cera. La mamma di Andrea si è fermata lì, davanti alla tomba del Santo, con poche parole e tutto il resto lasciato in silenzio. Non chiedeva un “colpo di scena”: chiedeva luce e forza per il passo successivo, qualunque fosse.

Tornare a casa (e continuare a provarci)

Non è cambiato tutto d’un tratto. Andrea ha continuato a inviare candidature, a telefonare, a presentarsi di persona dove si poteva. Ogni mattina ricominciava dall’elenco di aziende preparato nei giorni precedenti. Non ha smesso di cercare: ha smesso di farlo da solo. “Se ci sei, tienimi dritto” era diventata la sua frase breve, ripetuta piano mentre apriva la posta.

La telefonata che non ti aspetti

Dopo qualche settimana è arrivata una telefonata. Un numero non salvato: “Buongiorno, cerchiamo una figura come la sua. È disponibile a passare domani?”. Un colloquio vero, con domande concrete. Un secondo incontro. Una proposta. Quando è arrivato l’indirizzo della sede, la mamma l’ha riletto due volte: la strada portava il nome di un Santo legato a Padre Pio (quasi un sorriso di coincidenze). Non era un segnale da mettere in cornice; era un invito a fidarsi.

Il primo giorno

Il primo giorno di lavoro Andrea è arrivato in anticipo. Ha guardato il badge, ha ringraziato. Non era il “posto dei sogni” scritto sui quaderni, ma era inizio vero: un ambiente serio, un capo esigente ma giusto, colleghi disposti a insegnare. Ha capito che il tempo perso non era tutto perso: sapeva muoversi in un ufficio, sapeva cosa chiedere, sapeva aspettare senza bruciarsi.

Cosa è cambiato davvero

È cambiato il verso della storia. Il telefono ora suona per orari, turni, consegne. La sera Andrea fa bilanci diversi: errori da correggere, cose imparate, obiettivi per domani. A San Giovanni Rotondo la mamma tornerà, con lui: accenderanno una candela e diranno una parola semplice: grazie. Non per una magia ottenuta, ma per una strada aperta quando sembrava non ce ne fossero più.

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Un cammino che continua

La stabilità non è un nastro che si taglia. È un cammino: impegno, puntualità, cura delle cose piccole. Andrea lo sa e si tiene stretto quanto ha ricevuto. Sa anche che il lavoro può cambiare; per questo coltiva l’umiltà di imparare e la gratitudine di chi non dà per scontato niente. In tasca tiene un biglietto con una frase ascoltata durante il pellegrinaggio: “La santità non cancella la storia, la illumina”. È diventata il suo modo di stare nelle giornate: meno calcoli, più fiducia, e mani che non si tirano indietro.


Nota di identità

Questa è una storia vera. Qui la tenacia di un figlio, la preghiera di una madre e il tempo hanno lavorato insieme. Non vendiamo promesse: raccontiamo strade percorribili, dove l’affidamento dà forza e il lavoro si costruisce un giorno alla volta.

Il desiderio di una famiglia che non si spegne. La fatica che scava. Un viaggio a San Giovanni Rotondo. E una porta che, un giorno, si riapre.

Donna in preghiera accarezza il rosario nella statua di Padre Pio all’esterno del santuario di San Giovanni Rotondo.

Il desiderio che non passa

Un test negativo è una puntura che brucia e poi passa. Ma quando i test sono molti, la puntura diventa ferita. Per Lucia e Marco sono stati otto anni di tentativi, esami, terapie, speranze che salivano e ricadevano a terra come onde corte. Ogni mese un’altalena nuova; ogni mese la stessa stanza, lo stesso silenzio. Non era solo un sogno da mettere in bacheca: era il sogno da cui passava l’idea stessa di casa.

La svolta inattesa: una panca in chiesa

La svolta non è arrivata in una clinica. È arrivata su una panca, in chiesa, attraverso una donna anziana che ha visto le lacrime di Lucia e si è seduta accanto a lei. Le ha raccontato la sua storia, stranamente simile, e di come Padre Pio l’avesse aiutata a custodire la speranza quando sembrava finita. Non promessa, non formula: solo una compagnia. In quelle parole è tornata una scintilla che non graffia: una speranza pacifica.

Decidere di partire: San Giovanni Rotondo

Lucia e Marco hanno scelto di partire. Non per “strappare” un miracolo, ma per consegnare un peso che non sapevano più portare. La strada verso San Giovanni Rotondo è diventata un rosario di domande e di fiati lunghi. All’arrivo: l’alba fresca, la Messa nella chiesa antica, la discesa lenta verso la cripta. Davanti alla tomba di Padre Pio, Lucia ha sentito che il pianto — lo stesso di tante notti — aveva un nome diverso: non disperazione, abbandono. Marco, accanto, ha fatto la stessa semplice preghiera di ogni uomo che ama e non sa che fare: “Tieni tu quello che non tengo io”.

Tre giorni di silenzio (e un sogno)

Sono rimasti tre giorni. Una stanza semplice, il corridoio che profuma di cera, la campana che taglia il tempo. Hanno dormito poco e pregato piano. Una notte, Lucia ha sognato Padre Pio: nessuna frase, solo un sorriso. Si è svegliata con una pace che non ricordava da anni. Non aveva garanzie in tasca; aveva, però, una direzione.

Due mesi dopo: il test che non ti aspetti

Il tempo fa il suo lavoro senza fare rumore. Due mesi dopo il pellegrinaggio, Lucia guarda un test che dice l’opposto di tutti gli altri. Lo rifà, due volte. È positivo. Va in chiesa, abbraccia la donna che l’aveva ascoltata e sente addosso la leggerezza di chi ha pianto tanto e, per una volta, può piangere di gioia. La gravidanza scorre serena; la bambina nasce e si chiama Sofia — “sapienza”: un nome che ricorda che il senso delle cose spesso supera i nostri conti.

Oggi: un ritorno che diventa rito

Sofia oggi è vivace e curiosa. Ogni anno, nel giorno del compleanno, la famiglia ritorna a San Giovanni Rotondo: accendono una candela, dicono un grazie, lasciano un piccolo dono per altri bambini. Non perché tutto sia diventato facile per incanto, ma perché la gratitudine allena il cuore a riconoscere i passi buoni. Questo ritorno è il loro modo di tenere viva la memoria: il bene ricevuto si condivide, come si condivide pane e casa.

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Una testimonianza che non insegna, accompagna

Lucia e Marco non “insegnano” la ricetta della felicità: ascoltano chi sta vivendo lo stesso cammino, pregano insieme, offrono la loro esperienza come si offre una mano in salita. Non dicono che avere un figlio sia l’unica via alla gioia; dicono che la fede può aprire varchi dove si vedevano soltanto muri, e che ci sono strade che si riaprono proprio quando smetti di misurare tutto con l’orologio.

Nota di identità

Questa è una storia vera. Qui la cura e il tempo hanno camminato accanto alla preghiera, e un pellegrinaggio è diventato una finestra.

Non vendiamo promesse: raccontiamo strade percorribili, con rispetto per la coscienza di ciascuno e per il lavoro dei medici.

Ansia, preghiera, un viaggio a San Giovanni Rotondo: non magia—un respiro che torna.

Pellegrina in preghiera davanti alla statua di Padre Pio circondata da candele votive accese, nel piazzale esterno del santuario di San Giovanni Rotondo.

Ansia e attacchi di panico: i giorni prima di San Giovanni Rotondo

La notte l’ansia non bussava: entrava.
In coda al supermercato, in riunione, perfino in salotto: il cuore correva, il respiro si faceva corto, i pensieri stringevano la gola. Anna aveva chiesto aiuto, aveva iniziato un percorso con professionisti seri e seguito le indicazioni ricevute; eppure restava un fondo di inquietudine che nessuna parola riusciva a sciogliere. Le giornate erano una stratificazione di paure: paura di non farcela, paura di deludere, paura di ricadere proprio quando sembrava di stare meglio.

Un consiglio semplice: “Vai da Padre Pio”

Una sera, dopo un colloquio difficile, un frate con una gentilezza antica le disse solo questo: “Vai da Padre Pio”. Non come scorciatoia, non per saltare la fatica, ma per avere compagnia nella salita. Anna iniziò una preghiera breve ogni sera—poche parole, dette piano quando il cuore sfarfallava. Poi, quando il coraggio ebbe il tempo di crescere, decise di partire.

La preghiera che regge i giorni (insieme alla cura)

Nulla viene abbandonato: Anna prosegue la terapia, i controlli, gli esercizi che le sono utili. Alla cura affianca la preghiera, come una seconda mano che sostiene. È un ritmo semplice: respirare, nominare la paura senza vergogna, tenere lo sguardo su un punto stabile. Non chiede “tutto e subito”; chiede forza per attraversare bene quello che c’è.

San Giovanni Rotondo: davanti alla tomba di Padre Pio

Al Santuario non ci sono palchi.
C’è un corridoio che profuma di cera, il passo degli altri pellegrini, la tomba del Santo davanti. Anna accende una candela, posa una rosa. Il silenzio è spesso ma non schiaccia. Un frate, a bassa voce, dice: “La santità non cancella la storia, la illumina”. Le parole restano sospese come una finestra socchiusa. In quel momento Anna si accorge che il respiro è un po’ più largo: non uno schiocco di dita, non la scomparsa della fatica—piuttosto un peso che scende di mezzo passo e lascia intravedere una strada.

Cammina anche nei luoghi di Padre Pio, si ferma qualche minuto in chiesa, esce all’aria. Non ha cose speciali da raccontare; ha la sensazione che qualcuno tenga il bordo della sua giornata perché non scivoli via.

Il ritorno: piccole abitudini che aprono spazio

A casa, il quotidiano è lo stesso: lavoro, impegni, imprevisti. Ma Anna decide tre semplici abitudini che aprono spazio:

Continua a seguire la cura, senza eroismi e senza vergogna. Se una giornata va storta, non bolla tutto come fallimento: si concede la possibilità di ricominciare domani. La preghiera non diventa un dovere in più; resta un filo da tenere in mano quando il vento alza la polvere.

Dopo il pellegrinaggio: cosa è cambiato davvero

Cambiano i rapporti con le cose. Gli attacchi non comandano più ogni decisione: quando arrivano, trovano una persona meno spaventata. Cambia anche la voce interiore: meno severa, più vera. Anna impara ad anticipare i momenti fragili, a chiedere aiuto senza sentirsi sbagliata, a scegliere un passo dopo l’altro. Nulla di spettacolare; e proprio per questo credibile. La memoria di San Giovanni Rotondo — la candela accesa piano, la frase del frate, la tomba davanti — diventa un luogo interiore a cui tornare quando la paura picchia al vetro.

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Oggi

Ci sono giorni buoni e giorni duri. Ma oggi Anna dice una parola che prima non riusciva: respiro. Ringrazia chi l’ha accompagnata, i medici e Padre Pio per una pace che non fa rumore ma regge. Non cerca spiegazioni perfette: custodisce i passi fatti e quelli da fare. A San Giovanni Rotondo tornerà, non per cercare segni: per dire grazie del cammino che continua.

Storia personale, raccontata con pudore: qui cura e preghiera hanno camminato insieme. Nessuna promessa—solo una strada possibile.

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