"Quando ho visto l'acqua della Grotta di Lourdes per la prima volta, qualcosa in me è cambiato profondamente."
Con queste parole Maria, 58enne fiorentina, inizia a raccontare la sua esperienza di pellegrinaggio a Lourdes, un viaggio che ha segnato un prima e un dopo nella sua esistenza.
Quel mattino i Pirenei erano avvolti in una luce particolare, quasi eterea.
Maria si è avvicinata alla sorgente della Grotta di Lourdes con il cuore pesante di chi porta con sé anni di domande irrisolte e speranze sopite.
Le sue dita hanno sfiorato l'acqua che scorre ininterrottamente dal giorno in cui Bernadette scoprì la fonte, nel lontano 1858, sotto lo sguardo della Vergine.
"Ho sentito una pace che non provavo da anni,"
racconta Maria, con lo sguardo di chi ha assistito a qualcosa che trascende la comprensione ordinaria.
"Quando ho immerso le mani nell'acqua della fonte, ho avvertito un calore strano."
Non si è trattato di un miracolo eclatante o visibile agli occhi degli altri pellegrini presenti.
È stato invece uno di quei cambiamenti interiori silenziosi ma profondi, che iniziano come un sussurro e finiscono per ridefinire completamente una vita.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
"Dopo essere tornata a casa, ho ripreso in mano la mia vita con un'energia nuova, anche mia figlia l'ha notato subito!"
Maria descrive come quella sensazione di rinnovamento sperimentata durante il pellegrinaggio a Lourdes non sia svanita una volta rientrata nella sua realtà fiorentina, ma abbia continuato a germogliare, portando frutti concreti nella sua esistenza quotidiana.
È questa forse la vera essenza del pellegrinaggio a Lourdes: non si tratta solo di un'esperienza circoscritta a pochi giorni in un luogo sacro, ma di un seme piantato nell'anima che continua a crescere nel tempo.
Per Maria, questa trasformazione si è manifestata in decisioni coraggiose che rimandava da anni, in un rinnovato approccio alle difficoltà, in una capacità di vedere oltre l'apparente casualità degli eventi per scorgere un disegno più grande.
"Annalisa ci ha fatto vivere la Via Crucis sulla collina in modo così intenso..."
Nel racconto di Maria emerge con forza il valore aggiunto di una guida che non si limita a illustrare luoghi e eventi, ma sa creare un ponte tra la storia visibile di Lourdes e la sua dimensione spirituale nascosta.
"...ci ha fatto scoprire anche la Lourdes meno turistica e più autentica," prosegue Maria.
Questa testimonianza evidenzia come l'esperienza di un vero pellegrinaggio a Lourdes richieda qualcuno capace di condurre i viaggiatori oltre la superficie, nei meandri meno conosciuti ma più autentici di un luogo che rischia, paradossalmente, di essere vittima della sua stessa popolarità.
"Avevo già sentito parlare di Bianco Viaggi come la migliore agenzia per i pellegrinaggi, e l'esperienza ha confermato tutto."
La scelta dell'organizzazione a cui affidare un viaggio così delicato come un pellegrinaggio a Lourdes non è mai casuale, ma frutto di una ricerca attenta e di testimonianze verificate.
Ciò che distingue un semplice viaggio turistico da un autentico pellegrinaggio a Lourdes è proprio quell'equilibrio sottile tra efficienza logistica e sensibilità spirituale.
Maria ha trovato in Bianco Viaggi un'organizzazione capace di curare i dettagli pratici senza mai perdere di vista l'essenza spirituale dell'esperienza, creando spazi di preghiera comunitaria senza invadere l'intimità del percorso personale di ciascun pellegrino.
Torniamo a quel momento cruciale in cui Maria ha toccato l'acqua della Grotta di Lourdes.
"Quel momento ha segnato l'inizio di un cambiamento,"
confessa, descrivendo una sensazione che va oltre il semplice contatto fisico con l'acqua.
Quel gesto apparentemente ordinario è diventato per lei il catalizzatore di una trasformazione ben più profonda e duratura.
La sua testimonianza sull'acqua di Lourdes non parla di guarigioni fisiche miracolose o di eventi soprannaturali, ma di una guarigione dell'anima, di una chiarezza mentale ritrovata, di una pace interiore che sembrava perduta.
"Ho smesso di rimandare decisioni importanti nella mia vita,"
spiega Maria, rivelando come l'effetto più straordinario del suo pellegrinaggio sia stata la capacità di affrontare finalmente quei nodi esistenziali che aveva sempre evitato di sciogliere.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
La storia di Maria ci invita a riscoprire il significato autentico del pellegrinaggio a Lourdes nell'era del turismo di massa.
Non si tratta semplicemente di visitare un luogo famoso, di collezionare un'altra destinazione sulla mappa dei viaggi, ma di intraprendere un percorso di trasformazione personale che inizia con un viaggio fisico e prosegue come viaggio dell'anima.
Lourdes, con la sua Grotta dove l'acqua continua a sgorgare come simbolo tangibile di una grazia inesauribile, la Via Crucis che si inerpica sulla collina come metafora del cammino spirituale dell'uomo, la maestosa basilica sotterranea San Pio X che può contenere 25.000 persone eppure sa creare momenti di intima connessione personale, rappresenta non tanto una destinazione geografica quanto un punto di partenza esistenziale.
"Al ritorno ho preso decisioni importanti che rimandavo da anni,"
conclude Maria, rivelando quella che forse è la lezione più preziosa della sua testimonianza sul pellegrinaggio a Lourdes: a volte, per progredire nel cammino della vita, abbiamo bisogno di fermarci, di fare un passo indietro, di attingere a fonti più profonde.
L'acqua della Grotta di Lourdes, che Maria ha toccato in un momento specifico del suo pellegrinaggio, continua metaforicamente a scorrere nella sua vita quotidiana, alimentando scelte coraggiose, nuove consapevolezze, relazioni risanate.
È questo il vero miracolo di Lourdes: non tanto ciò che accade durante i giorni del pellegrinaggio, ma i frutti che quell'esperienza continua a generare molto tempo dopo il ritorno a casa.
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"Nei luoghi sacri come il Santuario di Lourdes, le coincidenze non esistono. Esistono solo appuntamenti divini."
L'ho vista per la prima volta nei pressi della Grotta di Massabielle durante una processione serale al Santuario di Lourdes. Guidavo il nostro gruppo di pellegrini a Lourdes quando la notai, in disparte, con uno sguardo che sembrava attraversare il velo del tempo.
"Mi chiamo Antonietta," si è presentata semplicemente, dopo che la folla si era dispersa. "Antonietta Raco."
Il nome mi ha folgorato. Lo avevo già sentito sussurrare tra i volontari: "La donna della Basilicata, quella del miracolo di Lourdes... è qui anche lei questa settimana."
A volte, nei miei innumerevoli pellegrinaggi al Santuario di Lourdes con Bianco Viaggi, ho incontrato storie che sembravano romanzi. Ma nessuna come quella che Antonietta Raco, 67 anni, miracolata di Lourdes, mi ha raccontato quella sera, seduti su una panchina davanti all'Esplanade, mentre le candele dei pellegrini disegnavano costellazioni terrene sotto il cielo stellato dei Pirenei.
"Vedi quell'ingresso alle piscine di Lourdes?" mi ha indicato Antonietta. "Nell'estate del 2009, sono entrata lì con una Sclerosi laterale primaria che mi condannava alla sedia a rotelle. I medici delle Molinette di Torino avevano già preparato la mia famiglia al peggio."
La sua voce tranquilla contrastava con l'enormità di ciò che stava raccontando: "Non ero venuta per chiedere un miracolo per me. Pregavo per una bambina malata di SLA."
Mi ha descritto l'immersione nelle acque sacre come se fosse accaduta il giorno prima: "Le assistenti mi sostenevano, poi si sono allontanate un attimo. All'improvviso ho sentito qualcuno – qualcosa – sorreggermi il collo. Mi sono voltata... non c'era nessuno."
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
I suoi occhi, illuminati dalle luci del Santuario, brillavano di una luce che andava oltre il riflesso delle candele.
"Un dolore lancinante mi ha attraversato le gambe. Poi ho sentito una voce, Riccardo... una voce come nessun'altra. 'Non avere paura, non avere paura', mi diceva. Solo io potevo sentirla."
"Sai cosa ho fatto dopo?" mi ha confessato con un sorriso. "Sono tornata a casa ancora sulla sedia a rotelle. Per paura, per incredulità. Non ho detto nulla a nessuno."
Mentre i pellegrini del nostro gruppo di Bianco Viaggi passavano davanti a noi diretti alla processione aux flambeaux, Antonietta mi ha rivelato il momento in cui tutto è cambiato.
"Era la sera del 5 agosto. Guardavo la TV con mio marito quando quella voce è tornata: 'Chiama tuo marito, diglielo'. Tremavo, ma l'ho chiamato. E davanti ai suoi occhi increduli, mi sono alzata e ho camminato dopo quattro anni di immobilità. Ho fatto dei giri su me stessa!"
Le sue parole hanno evocato in me immagini vivide: lo stupore del marito, il miracolo di quei primi passi incerti, il fremito delle gambe risvegliate dal torpore della malattia.
"Il professor Adriano Chiò delle Molinette è rimasto senza parole quando mi ha vista entrare nel suo reparto camminando. Mi ha abbracciato commosso dopo tutti gli esami e ha detto semplicemente: 'La scienza non può spiegare'."
"Sedici anni di esami, di commissioni mediche," ha continuato Antonietta. "I dottori del Bureau des Constatations Médicales di Lourdes mi hanno studiato come un libro aperto. Ma nessuno ha trovato una spiegazione."
Solo pochi giorni prima del nostro incontro, il 17 aprile 2025, nella Cattedrale di Maria Santissima Annunziata in Tursi, il vescovo Vincenzo Orofino aveva posto il sigillo ufficiale: il 72° miracolo per intercessione della Madonna di Lourdes.
"Com'è tornare qui, ora che la Chiesa ha riconosciuto il tuo miracolo?" le ho chiesto, mentre la processione aux flambeaux iniziava a formarsi davanti a noi.
Ha guardato verso la Grotta con occhi lucidi: "Lourdes è casa mia. Ogni volta che torno, è come se quella voce fosse ancora qui, accanto a me. La senti anche tu, vero? Questa presenza..."
E in quel momento, circondata dalle candele di migliaia di pellegrini, ho capito cosa intendeva.
Prima di separarci per unirci alla processione, Antonietta mi ha stretto la mano: "Sono solo uno strumento nelle mani di Dio," ha detto con quella semplicità disarmante che è il marchio delle anime grandi. "Ma se la mia storia può aiutare qualcuno a trovare speranza, allora raccontala."
Questa testimonianza merita di essere condivisa. Perché in ogni pellegrinaggio a Lourdes che ho guidato con Bianco Viaggi, ho visto persone trasformarsi. Non sempre con miracoli eclatanti come quello di Antonietta Raco. Più spesso con piccoli, preziosi miracoli interiori: ferite emotive che si rimarginano, perdoni finalmente concessi, speranze riaccese quando sembravano spente per sempre.
A volte mi chiedono: "Perché organizzare un pellegrinaggio a Lourdes con un'agenzia e non andare per conto proprio?"
Dopo aver incontrato Antonietta, la mia risposta è cambiata: perché nei luoghi sacri, le coincidenze non esistono. Esistono solo appuntamenti divini. E chi sa se, nel prossimo viaggio a Lourdes che organizzeremo, non sia in attesa anche il tuo?
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Forse è questo che cerchiamo tutti, quando intraprendiamo un pellegrinaggio al Santuario di Lourdes: non tanto un miracolo fisico quanto un incontro personale con il mistero, un momento in cui sentire, anche solo per un istante, quella voce che sussurra: "Non avere paura."
La storia di Antonietta Raco e del suo miracolo a Lourdes mi ha insegnato che i veri prodigi non si misurano solo con le gambe che tornano a camminare, ma con i cuori che si aprono all'impossibile.
E tu, sei pronto a metterti in cammino verso la tua personale esperienza a Lourdes?
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Informazioni pratiche sul Santuario di Lourdes:
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La luce portoghese ha una qualità diversa. È ciò che noto mentre l'autobus si allontana dalla costa e si addentra nell'entroterra verso Fatima. Non è solo più intensa, è più antica, come se portasse con sé stratificazioni di tempo. Una luce che sembra aver assistito a millenni di preghiere, ben prima che tre pastorelli incontrassero una Signora vestita di bianco nel 1917.
Questo pellegrinaggio a Fatima sarà diverso da come lo raccontano le guide. Perché oggi non cercherò solo la grande spianata e la Basilica, ma i sussurri tra gli ulivi, le storie nascoste nelle pieghe del tempo, e quei luoghi dove il sacro si rivela in modi inaspettati.
L'immagine di Fatima che tutti conoscono è quella della grande spianata con la basilica, delle folle oceaniche, della maestosità architettonica. Ma è in un angolo dimenticato, lontano dai riflettori, che Fatima mi si rivela per la prima volta.
Arrivo di mattina presto a Valinhos. Pochi sanno che qui, non alla Cova di Iria, l'Angelo della Pace del Portogallo apparve ai tre pastorelli un anno prima delle apparizioni mariane. Il luogo è quasi deserto. Un sentiero di pietra bianca si snoda tra ulivi centenari, i cui tronchi contorti sembrano custodi di un linguaggio antico.
Mi siedo su una roccia, solo. Il sole mattutino filtra tra le foglie creando una danza di luci e ombre sul terreno. C'è qualcosa di primitivo qui, qualcosa che precede le strutture, i dogmi, persino le parole.
Un anziano pastore passa in lontananza con poche pecore. Mi guarda, accenna un saluto. Mi chiedo se sia consapevole di camminare sullo stesso terreno dove, secondo la tradizione, un essere celeste si inchinò fino a terra in adorazione del divino. In quel momento comprendo che Fatima non è iniziata con Maria, ma con un angelo prostrato nella polvere, un'inversione della gerarchia cosmica che nessuno si aspetterebbe.
Il silenzio qui ha una densità particolare, come se l'aria stessa fosse satura di attesa. Non è l'assenza di suono – gli uccelli cantano, il vento muove le foglie, in lontananza un campanile batte le ore – ma una qualità di silenzio che sembra precedere la creazione stessa.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
A mezzogiorno mi dirigo verso la Cappellina delle Apparizioni nella Cova di Iria, il cuore pulsante di Fatima. Contrariamente a quanto mi aspettavo, non è la maestosità a colpirmi, ma la disarmante semplicità. Una struttura bianca, modesta, quasi fragile rispetto alla vastità della spianata che la circonda. Come se l'essenza del sacro rifuggisse l'imponenza per rifugiarsi nella vulnerabilità.
L'azulejo sul pavimento segna il punto esatto dove si ergeva l'elce sul quale apparve la Madonna. Mi inginocchio lì, non per devozione formale ma perché, istintivamente, le gambe cedono. La sensazione è straniante: non è che io mi sia inginocchiato nel presente, ma che qualcosa dal passato stia attraversando il tempo per toccarmi. Il piano temporale sembra incresparsi, e per un istante ho la netta percezione che il 1917 e il presente coesistano.
Una donna brasiliana accanto a me piange silenziosamente. Non la guardo direttamente, ma nella periferia della mia visione noto come le sue lacrime cadano esattamente sul bordo dell'azulejo. Mi coglie un pensiero inaspettato: quelle lacrime si uniscono a un fiume invisibile che scorre da più di un secolo, un fiume che non segue le leggi della fisica ma quelle di una geografia interiore che raramente esploriamo.
Mi alzo e mi avvicino al braciere dove i pellegrini accendono candele votive. Ma ciò che cattura immediatamente la mia attenzione non sono le comuni candele, bensì gli ex-voto di cera. Mani, piedi, teste, organi interni, persino figure intere di bambini – riprodotti in cera bianca e destinati a sciogliersi nel fuoco, in un rito che ha qualcosa di ancestrale, quasi pagano nella sua fisicità diretta.
Osservo una donna anziana che, con mani tremanti, deposita un piccolo cuore di cera nel braciere. Lo fa con tale intensità di concentrazione che sembra stia affidando non un oggetto, ma una parte di sé alle fiamme. In quel gesto c'è una comprensione istintiva del potere del simbolo: quel cuore di cera non rappresenta un organo, ma contiene in qualche modo il dolore, la speranza, la preghiera di chi lo offre.
La cera si scioglie rapidamente, mescolandosi con centinaia di altre offerte simili. C'è qualcosa di profondamente democratico in questo processo: re o mendicante, la cera si scioglie allo stesso modo, le preghiere si fondono nella stessa fiamma. Le distinzioni sociali, economiche, culturali che tanto ci definiscono nella vita quotidiana, qui si dissolvono come la cera.
L'aria è pervasa dall'odore di cera fusa e di fiori. La statua della Madonna guarda oltre me, oltre tutti noi, verso un orizzonte che solo lei può vedere. Non c'è nulla di estatico nel suo sguardo, nulla di trionfale. C'è piuttosto una ferma consapevolezza, come se conoscesse sia la bellezza che l'orrore del secolo che si sarebbe dispiegato dopo le sue apparizioni, e li contenesse entrambi nel suo silenzio.
All'improvviso comprendo perché i tre veggenti furono inizialmente terrorizzati dalle apparizioni: non è il timore reverenziale di fronte al divino, ma lo sgomento di fronte al reale nella sua insostenibile completezza.
Nel primo pomeriggio visito la basilica dove riposano i resti mortali dei tre pastorelli. La folla ora è consistente, ma c'è un flusso ordinato di persone che avanzano verso le tombe.
Guardo i ritratti dei tre bambini esposti nella basilica. Osservandoli attentamente, noto qualcosa che non avevo mai colto prima: nei loro occhi non c'è l'innocenza che ci aspetteremmo, ma una maturità prematura, come se avessero visto non solo il cielo, ma anche l'inferno. Mi viene in mente che il famoso "segreto di Fatima" forse non era tanto un messaggio specifico, quanto questa consapevolezza adulta impressa negli occhi di tre bambini.
Mi fermo davanti alla tomba di Francisco. Morto a soli 10 anni durante l'epidemia di influenza spagnola nel 1919, Francisco aveva una caratteristica unica: durante le apparizioni, vedeva la Madonna ma non la sentiva parlare. Questa sua "apparizione silenziosa" mi colpisce come una profonda metafora: a volte il divino si manifesta attraverso la presenza, non attraverso le parole.
Una guida turistica passa vicino, raccontando in inglese la storia dei pastorelli. Si sofferma sul fatto che Lúcia visse fino a 97 anni, diventando suora, mentre i suoi cugini morirono bambini. "Alcuni dicono che fu un privilegio," dice la guida, "altri una condanna – dover portare il peso di quel segreto per quasi un secolo, mentre i suoi compagni venivano 'liberati'".
Questa prospettiva mi lascia sconcertato. Non avevo mai pensato alla longevità di Lúcia in questi termini. La sua vita lunga non fu forse un altro tipo di martirio? Portare il peso di ciò che aveva visto attraverso due guerre mondiali, l'Olocausto, l'era atomica, fino alle soglie dell'era digitale?
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Nel tardo pomeriggio, quando la maggior parte dei pellegrini si riposa prima delle cerimonie serali, decido di visitare un luogo ancora più remoto e meno noto: Loca do Cabeço. È qui che l'Angelo della Pace apparve per la prima volta, prima ancora di Valinhos.
Il percorso è impegnativo, e incontro solo pochi pellegrini determinati lungo la strada. Il paesaggio cambia, diventa più aspro, più elementare. Rocce, ulivi contorti, un cielo che sembra più vicino.
Arrivo in una piccola radura dove un monumento semplice ricorda le apparizioni angeliche. Ma non è il monumento a catturare la mia attenzione, bensì la solitudine radicale del luogo. Per la prima volta comprendo visceralmente perché le tradizioni mistiche di tutte le religioni cercano il deserto, la montagna, la foresta profonda: non è solo per allontanarsi dalle distrazioni, ma perché in questi luoghi gli strati che separano i diversi livelli di realtà sembrano assottigliarsi.
Mi siedo su una roccia e chiudo gli occhi. Il vento porta odori di terra, di erbe selvatiche, di resina. In quel momento percepisco – non vedo, non sento, ma percepisco – una presenza. Non ha forma, non ha voce, è puramente presenza. È al contempo terrificante e pacificante.
Un brivido mi percorre la schiena nonostante il caldo. Non sto vivendo un'esperienza soprannaturale – sono troppo radicato nel razionale per reclamare visioni – ma sto sperimentando qualcosa che precede la divisione tra naturale e soprannaturale. È come se per un istante avessi accesso a un livello di percezione più ampio, dove i confini tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo, si dissolvono.
La sensazione svanisce rapidamente, lasciandomi con una strana nostalgia, come se avessi intravisto una patria dimenticata. Mi chiedo se i tre pastorelli abbiano provato qualcosa di simile, ma amplificato fino all'insostenibile.
Torno alla Cova di Iria al tramonto. La grande spianata si sta riempiendo. L'atmosfera è cambiata: c'è un'elettricità nell'aria, un'anticipazione.
Con l'arrivo del buio, inizia la processione delle candele. Migliaia di fiammelle si accendono una dopo l'altra, creando un fiume di luce che si muove lentamente attraverso la spianata. Da lontano, sembra un organismo vivente, una costellazione in movimento sulla terra.
Mi unisco alla processione, accettando una candela da un volontario. La proteggo dal vento con la mano, creando involontariamente un gioco di ombre sul mio volto. La sensazione della cera calda che occasionalmente gocciola sulle dita crea un curioso contrappunto: mentre partecipo a un rito spirituale, sono ancorato alla materia, alla fisicità, al piccolo dolore che mi ricorda di essere corpo.
La processione avanza lentamente mentre si recita il rosario in diverse lingue. Accanto a me, una famiglia spagnola con una bambina di circa sette anni. La piccola tiene la candela con entrambe le mani, completamente assorta. Osservando il suo viso illuminato dalla fiamma, mi colpisce una rivelazione: forse l'aspetto più miracoloso di Fatima non è ciò che accadde nel 1917, ma ciò che continua ad accadere ogni sera – questa trasmissione di luce di mano in mano, di generazione in generazione.
Mentre avanziamo, noto qualcosa di straordinario: le migliaia di voci che recitano il rosario non sono perfettamente sincronizzate. C'è un leggero sfasamento, un'eco, come se ogni preghiera fosse contemporaneamente individuale e collettiva. Questo ritardo, questa sovrapposizione imperfetta, crea una texture sonora che mi ricorda il mormorio di un fiume, qualcosa di organico piuttosto che meccanico.
La processione circonda la Cappellina delle Apparizioni. Da questa nuova prospettiva, con migliaia di candele che la circondano, la semplice struttura bianca non appare più fragile ma piuttosto protetta, custodita da un perimetro di luce pulsante.
Alzo lo sguardo verso il cielo notturno. Le stelle sono particolarmente brillanti stasera, formando il loro proprio candelabro cosmico. Per un istante, la distinzione tra sopra e sotto sembra dissolversi – le candele in terra riflettono le stelle in cielo, create la grandezza vertiginosa dell'universo nell'intimità di un gesto umano.
La folla si disperde gradualmente dopo la processione, ma io resto. Alcune centinaia di pellegrini più determinati rimangono per la veglia notturna. I banchi all'aperto si riempiono solo parzialmente.
Mi siedo, sfinito ma stranamente vigile. La stanchezza fisica sembra aprire una diversa modalità di percezione, come se il corpo esausto cedesse il passo a una ricettività più sottile. La notte avanza, le preghiere continuano, ma a un certo punto smetto di seguirle consapevolmente.
Una sensazione peculiare mi avvolge: non è che il tempo si fermi, ma piuttosto che cessi di essere rilevante. C'è solo un eterno presente che contiene in sé tutti i momenti: i pastorelli che corrono tra gli ulivi, i pellegrini del secolo scorso, quelli di oggi, quelli che verranno. Tutti contemporaneamente presenti in questo punto dello spazio che sembra funzionare come un nodo nella trama del tempo.
A mezzanotte, quando la veglia ufficiale termina, alcune persone rimangono comunque, incapaci o non desiderose di spezzare l'incantesimo. Un uomo anziano accanto a me sta immobile, gli occhi chiusi, le mani appoggiate sulle ginocchia con i palmi rivolti verso l'alto. C'è qualcosa di così completo nella sua postura, come se avesse trovato il punto esatto di equilibrio tra vigilanza e abbandono.
Mi chiedo cosa stia vivendo, quali mondi interiori stia attraversando. Mi rendo conto che questa è forse l'unica vera domanda che conta a Fatima: non cosa sia veramente accaduto nel 1917, ma cosa accade ora, in questo momento, nell'esperienza viva di ciascuna persona che giunge qui.
L'alba mi coglie ancora sveglio. La luce portoghese, quella stessa luce che avevo notato all'arrivo, ora ritorna, rivestendo lentamente ogni cosa di una chiarezza nuova.
I primi raggi toccano la statua della Madonna nella Cappellina, creando l'illusione ottica che sia lei a illuminarsi dall'interno. Per un istante, la pietra sembra vivente, pulsante, come se la statua fosse solo un sottile velo su qualcosa di infinitamente più reale.
Mi alzo, le gambe indolenzite, la mente stranamente lucida nonostante la notte insonne. Cammino verso la Cappellina per un ultimo momento di raccoglimento prima di partire.
Una donna delle pulizie sta già lavorando, raccogliendo i resti di candele, sistemando i fiori freschi. C'è qualcosa di profondamente commovente in questo gesto quotidiano di cura. Mi colpisce che forse la vera devozione non sta nei grandi gesti o nelle esperienze estatiche, ma in questa umile manutenzione del sacro, in questo prendersi cura dello spazio che si apre tra visibile e invisibile.
Mentre mi allontano, voltandomi un'ultima volta verso la Cappellina, comprendo che ciò che porto via da Fatima non è una certezza, non è una risposta, ma piuttosto una domanda più raffinata. Non "È accaduto un miracolo qui?", ma "Cosa significa essere testimoni - non di un evento straordinario del passato, ma di questa continua intersezione tra visibile e invisibile che Fatima continua a facilitare?"
Prima di lasciare definitivamente Fatima, faccio una deviazione non prevista. Ho sentito parlare di una quercia centenaria poco distante dalla Basilica, un albero che esisteva già ai tempi delle apparizioni, ma che pochi visitano.
La trovo dopo una breve ricerca. Maestosa, nodosa, con radici che emergono dal terreno come vene antiche. Mi colpisce come questa quercia sia una testimone silenziosa, l'unica creatura vivente che era presente nel 1917 e continua ad esserci oggi. Ha assorbito nella sua corteccia la luce di quel giorno, ha sentito le voci dei pastorelli, ha assistito all'intero secolo di pellegrinaggi.
Mi siedo sotto i suoi rami, appoggiando la schiena al tronco rugoso. Chiudo gli occhi e provo a immaginare cosa "ricordi" quest'albero. Non in senso umano, naturalmente, ma nel modo in cui un organismo vivente registra nel suo stesso corpo gli eventi che lo circondano.
In quel momento ho un'intuizione che capovolge la mia percezione di Fatima: e se il vero "terzo segreto" non fosse mai stato completamente rivelato non per qualche cospirazione ecclesiastica, ma perché è intraducibile in linguaggio umano? Se fosse qualcosa che può essere compreso solo attraverso una forma di conoscenza che precede le parole, come quella di un albero che assorbe luce, acqua, vibrazioni, senza mai nominarle?
La quercia non risponde, naturalmente. Continua semplicemente ad essere, con la pazienza di chi misura il tempo in secoli, non in ore.
Salgo sull'autobus che mi riporterà verso la costa. Seduto accanto al finestrino, osservo Fatima rimpicciolirsi in lontananza. La grande cupola della Basilica, la spianata, tutto diventa gradualmente più piccolo finché non scompare dietro una collina.
Ma c'è qualcosa che non diminuisce con la distanza, qualcosa che sembra anzi espandersi man mano che mi allontano fisicamente dal luogo. È difficile da articolare, ma è come se avessi acquisito un nuovo organo di percezione, un senso aggiuntivo che prima era latente.
Un anziano pellegrino portoghese siede davanti a me. Nota che sto scrivendo sul mio taccuino e si volta. "Cosa scrive di Fatima?" mi chiede in un inglese stentato.
Esito. Come posso spiegare che non sto tanto scrivendo "di" Fatima, quanto permettendo a Fatima di scrivere attraverso di me? Come posso dire che ciò che ho vissuto nelle ultime 24 ore ha creato in me uno spazio che ora sembra abitare?
"Sto cercando di ricordare," rispondo semplicemente.
L'uomo sorride, come se avessi detto qualcosa di profondamente significativo. "Non si preoccupi del ricordo," dice. "Ciò che Fatima le ha dato non lo dimenticherà, perché non è nella sua memoria, è nella sua anima. E l'anima non dimentica, anche quando la mente non ricorda più."
Queste parole, pronunciate con la saggezza semplice di chi ha fatto questo pellegrinaggio molte volte, mi colpiscono profondamente. Mi fanno comprendere che il vero viaggio di Fatima non è quello geografico, né quello storico alla ricerca di ciò che accadde nel 1917. Il vero pellegrinaggio è quello invisibile, il cammino interiore che inizia veramente solo quando si lascia Fatima, quando si porta nel mondo ordinario quella qualità di percezione che il luogo risveglia.
L'autobus attraversa paesaggi di straordinaria bellezza: colline ondulate, oliveti, vigneti, piccoli villaggi con case dai tetti rossi. La luce portoghese continua a farsi notare, ora illuminando un campanile in lontananza, ora filtrando attraverso le foglie di un eucalipto.
Mi rendo conto che sto vedendo questo paesaggio con occhi nuovi, come se la luce che ho assorbito a Fatima avesse modificato la mia percezione. Non è una questione di maggiore religiosità o di conversione improvvisa – è piuttosto come se un filtro sottile fosse stato rimosso, permettendomi di vedere le cose con maggiore immediatezza, con meno interpretazione.
Il messaggio più profondo di Fatima, comprendo ora, non riguarda eventi apocalittici o segreti cosmici. Riguarda piuttosto questa possibilità di percezione rinnovata, questo invito a vedere il mondo ordinario trasfigurato dalla luce straordinaria che filtra attraverso le sue crepe.
Mentre l'autobus procede verso la costa e il sole inizia a calare sull'Atlantico, mi ritrovo a sorridere. Ho iniziato questo viaggio cercando il "vero segreto di Fatima", ma ciò che ho trovato è molto più semplice e insieme più misterioso: l'invito a vivere in uno stato costante di attenzione allargata, dove il confine tra quotidiano e sacro si dissolve non perché il quotidiano scompaia, ma perché venga visto nella sua reale profondità.
Fatima non è dietro di me. È davanti. È nel modo in cui da ora in poi guarderò ogni alba, ogni volto umano, ogni pietra sul sentiero, riconoscendo in essi non simboli di qualcosa d'altro, ma manifestazioni complete, incarnate, del mistero stesso dell'esistere.
Il sole è ancora tiepido. La strada che porta al Podbrdo è già punteggiata di sagome silenziose che avanzano con passo lento ma determinato. Sono qui per questo, per salire sulla collina delle apparizioni, dove tutto è iniziato. Dove sei bambini, nel 1981, hanno visto per la prima volta la "Gospa", la Signora.
Mi unisco al flusso di pellegrini, il rosario tra le dita. Ricordo le parole della Madonna in uno dei suoi messaggi: "Cari figli, il rosario mi è particolarmente caro, perché attraverso di esso, mi aprite il cuore e così posso aiutarvi". Ogni Ave Maria diventa così un passo preparatorio, un modo per aprire il cuore prima ancora che la salita fisica inizi.
Inizio a salire. Primo passo. Secondo passo. La roccia è tagliente sotto le suole sottili delle mie scarpe. Mi chiedo come faccia quella donna davanti a me, che procede a piedi nudi, ogni passo una piccola offerta di dolore. Mi sorride incrociando il mio sguardo, come se il dolore fosse un segreto condiviso, un privilegio piuttosto che una sofferenza.
La salita non è tecnicamente difficile, ma ogni passo richiede attenzione. Le pietre calcaree sono affilate, pronte a punire ogni distrazione. Eppure, guardando i volti delle persone che salgono con me, non vedo sforzo o sofferenza, ma una strana serenità, come se il cammino stesso fosse già destinazione.
Un uomo anziano, sostenuto dal figlio, si ferma ogni pochi passi per riprendere fiato. I loro volti così simili, divisi solo dal tempo: lo stesso naso forte, gli stessi occhi profondi. Quando l'anziano vacilla leggermente, la mano del figlio è già lì, pronta, in un gesto che parla di anni di amore e rispetto reciproco. Non si dicono nulla, non serve. Mi chiedo quali preghiere, quali speranze portino con loro su questa collina.
A metà percorso, una piattaforma naturale offre un momento di riposo. Mi fermo e mi volto a guardare il panorama che si apre sotto di me. Medjugorje si estende placida, con il suo campanile che svetta come un dito puntato verso il cielo. Le case dai tetti rossi sembrano giocattoli disposti da una mano gigante. Da questa altezza, i problemi quotidiani sembrano rimpicciolirsi, assumere proporzioni più gestibili.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Riprendo la salita, sentendo il vento che si intensifica. Porta con sé profumi di erbe selvatiche, di terra riscaldata dal sole, di qualcosa di indefinibile che appartiene solo a questo luogo. Un vento che sembra voler sussurrare segreti a chi sa ascoltare.
Man mano che salgo, noto come il rumore dei passi sulla pietra crei una sorta di ritmo collettivo, quasi una preghiera percussiva. Tac, tac, tac. Passi che diventano rosario, litania, meditazione.
Una bambina di forse otto anni supera tutti con un'energia che fa sorridere. Si arrampica come una piccola capra di montagna, fermandosi poi ad aspettare la madre che sale più lentamente, gravata da un dolore che le si legge negli occhi. La bambina non lo sa ancora, ma sua madre è qui per lei, per una diagnosi recente che ha cambiato il corso delle loro vite. Lo apprendo poi, in uno scambio di sguardi e poche parole con la donna. "Lei non sa ancora," mi dice sottovoce, indicando la figlia che corre più avanti. "Voglio che rimanga bambina il più a lungo possibile."
Mi chiedo quante storie simili stiano salendo questa collina insieme a me. Quanti dolori, quante speranze, quante preghiere silenziose si intrecciano in questa processione che si snoda sulla montagna. Alcuni portano fotografie di persone care, altri stringono rosari consumati dall'uso, altri ancora salgono a mani vuote, ma con il cuore pieno.
Finalmente, dopo una curva, appare la statua della Madonna. Bianca contro il cielo blu, con il suo sguardo sereno rivolto verso la valle. È qui che i veggenti hanno visto apparire la Gospa, in questo punto preciso dove ora decine di persone si affollano in preghiera.
Mentre mi avvicino, noto una donna che piange silenziosamente, le mani premute contro il viso. Le sue spalle tremano con singulti trattenuti. Accanto a lei, un uomo – forse il marito – le circonda le spalle con un braccio, lo sguardo fisso sulla statua, gli occhi lucidi. C'è un'intimità in questo dolore condiviso che mi fa distogliere lo sguardo, come se stessi involontariamente spiando un momento troppo privato.
Mi faccio da parte, cercando un angolo meno affollato. Trovo uno spazio su una roccia piatta, levigata da migliaia di pellegrini prima di me. Mi siedo e chiudo gli occhi, lasciando che il sole di giugno mi scaldi il viso. Il chiacchiericcio sommesso delle preghiere in varie lingue crea un sottofondo ipnotico.
È allora che succede qualcosa di strano. Con gli occhi chiusi, perdo momentaneamente la cognizione del luogo. Non so più se sono seduto sulla roccia o se la roccia è dentro di me. I confini tra esterno e interno sembrano dissolversi. Sento il battito del mio cuore, forte e regolare, e per un istante mi sembra di percepire un altro battito, come in eco, che risponde al mio.
Riapro gli occhi, confuso da questa sensazione. Il mondo è ancora lì, immutato. La statua, i pellegrini, il cielo blu. Eppure qualcosa è cambiato. C'è una qualità diversa nella luce, una nitidezza nei contorni delle cose che prima non c'era. O forse è il mio sguardo ad essere cambiato.
Una signora anziana accanto a me sorride, come se avesse intuito qualcosa. Mi porge una piccola pietra levigata. "Tenga," dice in un italiano stentato, "questa ha assorbito molte preghiere." Accetto il dono con gratitudine, stupito da questo gesto spontaneo tra sconosciuti.
Mentre tengo la pietra nel palmo della mano – calda, quasi viva – capisco che questa è l'essenza di Medjugorje. Non è nelle apparizioni sensazionali o nei fenomeni mistici, ma in questi piccoli momenti di connessione umana, di condivisione, di riconoscimento reciproco.
Rimango seduto per ore, osservando l'andirivieni dei pellegrini. Alcuni si fermano solo pochi minuti, scattano una foto e ripartono. Altri si inginocchiano in preghiera per tempi lunghissimi, immobili come statue. C'è chi piange apertamente, chi sorride con gli occhi chiusi, chi sussurra ripetutamente la stessa preghiera come un mantra.
Nel tardo pomeriggio, quando il sole inizia a calare, la folla si dirada. La luce assume tonalità dorate, ammorbidendo i contorni taglienti delle rocce. È come se la montagna stessa si rilassasse, sospirando dopo una giornata intensa.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Sento un impulso improvviso. Mi tolgo le scarpe, volendo sentire la roccia direttamente sotto i piedi. Il primo contatto è doloroso – la pietra è ancora calda dal sole e punge la pelle delicata delle piante dei piedi. Ma poi, passo dopo passo, il dolore si trasforma in una forma acuta di presenza. Ogni passo diventa una preghiera non formulata, un atto di connessione con questa terra che ha visto così tante storie come la mia.
Mentre scendo a piedi nudi, sento che sto lasciando qualcosa sulla montagna. Non saprei dire cosa esattamente – un peso, un dubbio, una paura. E sto portando via qualcosa con me, oltre alla piccola pietra nel mio palmo. Una certezza silenziosa che non ha bisogno di parole o spiegazioni. Un battito che risponde al mio.
Il campanile della chiesa di San Giacomo si staglia contro il cielo che inizia a tingersi di viola. Medjugorje mi aspetta in basso, con le sue luci che iniziano ad accendersi una ad una. Scendo lentamente, passo dopo passo, cuore a cuore con la montagna, con il cielo, con quella presenza invisibile ma palpabile che ha chiamato così tante persone in questo angolo di Bosnia.
E capisco, con una chiarezza improvvisa, che il vero miracolo di Medjugorje non è nei fenomeni straordinari riportati dai veggenti, ma in questa capacità di trasformare una semplice collina rocciosa in un ponte tra terra e cielo, tra visibile e invisibile. Di trasformare sconosciuti in compagni di viaggio, di rendere tangibile ciò che normalmente sfugge ai nostri sensi.
Alla base della collina, mi rimetto le scarpe. I piedi mi fanno male, probabilmente sanguinano in qualche punto. Ma è un dolore diverso, significativo. Un dolore che parla di un cammino che non è solo fisico, ma che attraversa regioni più profonde dell'essere.
Guardo un'ultima volta la collina, ora avvolta nelle prime ombre della sera. La statua bianca è ancora visibile, illuminata da un ultimo raggio di sole. Non so dire con certezza se la Madonna appare davvero a Medjugorje. Ma so che qualcosa è apparso a me oggi: una versione più vera di me stesso.
E forse, alla fine, questo è il messaggio più profondo di questo luogo: che il divino non è qualcosa di esterno da cercare in visioni spettacolari, ma una presenza che attende di essere riconosciuta nel battito del nostro stesso cuore.
La piccola pietra pesa nel mio palmo, calda e vivente. La stringo forte mentre mi avvio verso il villaggio, portando con me la montagna, passo dopo passo, battito dopo battito.
Non appena si varca la soglia del santuario, si entra in una dimensione diversa. Il rumore del mondo svanisce, sostituito da un sottofondo di preghiere in decine di lingue. L'aria stessa cambia, carica di qualcosa di indefinibile.
La prima cosa che colpisce è l'umanità varia e autentica: giovani volontari che spingono carrozzine, anziani che avanzano lentamente sostenuti dai familiari, gruppi di pellegrini che cantano, suore che pregano in silenzio. Qui, la malattia non è nascosta – è accolta, condivisa, accompagnata.
La grotta di Massabielle è il cuore pulsante di Lourdes, il luogo dove tutto è iniziato. Ed è qui che ho voluto iniziare il mio pellegrinaggio.
Seduto sulla pietra fredda, con la schiena appoggiata a quella roccia che da più di 160 anni accoglie milioni di preghiere, ho sentito subito qualcosa cambiare dentro di me. Nelle ore serali, quando i grandi gruppi si diradano, il luogo acquista un'intimità particolare. Solo pochi pellegrini sparsi nella penombra, in attesa della chiusura dei cancelli.
La statua della Madonna nella nicchia rocciosa non è più un semplice oggetto di marmo bianco, ma diventa una presenza che ti guarda, ti ascolta. In quel silenzio, le domande che porti nel cuore trovano finalmente spazio per emergere.
L'acqua della sorgente scorre con un suono costante, come un battito che scandisce un tempo diverso. Il respiro si adatta naturalmente a quel ritmo, diventando esso stesso preghiera silenziosa.
Poco distante da me, una donna anziana in sedia a rotelle resta immobile. Non prega ad alta voce, non si muove. Solo i suoi occhi, fissi sulla nicchia, rivelano un dialogo intenso e personale. Mi chiedo cosa stia condividendo con quella che per molti è la Madre per eccellenza.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Il tempo alla grotta scorre diversamente. Non si misura in minuti ma in profondità. Ogni istante è denso, presente. Dolore e speranza, fragilità e forza esistono insieme, senza contraddirsi.
Quando i custodi annunciano gentilmente che è ora di lasciare il santuario, mi alzo con le ginocchia indolenzite ma con il cuore stranamente leggero. Porto con me la sensazione di un incontro autentico, di uno sguardo che ha attraversato la pietra e ha toccato qualcosa dentro di me.
"Andate a bere alla fonte e a lavarvi", disse la Madonna a Bernadette. Seguire questo invito significa affrontare una delle esperienze più intense di Lourdes: il bagno nelle piscine.
La fila è lunga, e l'attesa diventa parte del rito. Si avanza lentamente, passo dopo passo, mentre la nervosa anticipazione si trasforma in una calma accettazione. Intorno a me, pellegrini di ogni età e condizione. Alcuni pregano, altri restano in silenzio, alcuni condividono storie personali con perfetti sconosciuti che, in questo contesto, diventano subito fratelli.
Quando finalmente arrivo alla piscina, vengo accolto da volontari che mi guidano con gentilezza. Le loro mani sono state addestrate da anni di servizio, i loro occhi hanno visto migliaia di corpi, sani e malati, giovani e vecchi. Non c'è imbarazzo nella nudità, solo la vulnerabilità condivisa dell'essere umani.
L'acqua è fredda, gelida. Il contatto con essa toglie il respiro per un istante. Ma non è solo una sensazione fisica – è come se ogni difesa, ogni maschera che indossiamo nel mondo, venisse spazzata via in quell'immersione di pochi secondi.
Ricordo con chiarezza il pensiero che mi ha attraversato in quel momento: non sono venuto qui per chiedere guarigione fisica, ma per qualcosa di più profondo. L'acqua fredda che mi avvolge sembra dire: "Non temere la tua fragilità, abbracciala. È qui che inizia la vera forza".
Uscendo dalla piscina, mi sento strano. Non posso dire di aver provato un'estasi mistica o una trasformazione istantanea. Eppure, qualcosa è cambiato. C'è una leggerezza inspiegabile, come se avessi lasciato nell'acqua un peso che non sapevo di portare.
Se la grotta è il cuore intimo di Lourdes, la processione aux flambeaux è il suo battito collettivo. Ogni sera, quando il sole tramonta dietro i Pirenei, migliaia di persone si riuniscono con candele in mano.
All'inizio sembra caotico: gruppi di diverse nazionalità cercano di organizzarsi, volontari distribuiscono candele, bambini corrono tra le gambe degli adulti. Ma poi, quando le prime note dell'Ave Maria di Lourdes risuonano nell'aria, avviene qualcosa di magico.
La melodia semplice, quasi infantile, viene cantata in decine di lingue diverse. Eppure, in qualche modo, diventa un canto unico. Le candele si alzano all'unisono durante il ritornello, creando un'onda di luce che si muove attraverso la spianata.
"Ave, Ave, Ave Maria! Ave, Ave, Ave Maria!"
Dal mio posto, vedo un mare di fiammelle che si estende davanti a me. Ogni luce è una persona, una storia, una speranza. Accanto a me, un giovane in carrozzina tiene la sua candela con mano tremante, aiutato da un volontario. Il suo volto, illuminato dalla fiamma, mostra una gioia così pura che mi commuove fino alle lacrime.
Camminiamo lentamente, seguendo il percorso che circonda il santuario. Il ritmo è determinato dai più deboli: nessuno viene lasciato indietro, nessuno corre avanti. È una metafora potente della comunità umana come dovrebbe essere.
Quando raggiungiamo la spianata davanti alla basilica, le candele formano un mosaico di luce contro il cielo notturno. La preghiera del rosario inizia in latino, poi passa a varie lingue. Non capisco tutte le parole, ma non importa. C'è una comunione che va oltre il linguaggio.
È in questo momento che comprendo una verità fondamentale su Lourdes: qui non si viene principalmente per un miracolo personale, ma per essere parte di un miracolo collettivo – la riscoperta della nostra umanità condivisa, della nostra capacità di essere presenti gli uni per gli altri.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Ogni pomeriggio a Lourdes, il Santissimo Sacramento viene portato in processione davanti ai malati allineati in carrozzine e barelle. È un momento di straordinaria intensità spirituale.
La preparazione è attenta e premurosa. I malati vengono posizionati lungo il percorso con anticipo, assistiti da volontari che li proteggono dal sole, offrono acqua, sistemano cuscini. C'è una dolcezza in queste piccole attenzioni che rivela quanto sia importante ogni persona.
Quando la processione inizia, guidata dal vescovo o da un sacerdote che porta l'ostensorio, cala un silenzio carico di attesa. Poi il canto si alza, prima piano, poi con crescente intensità: "Laudate Dominum, laudate Dominum, omnes gentes, alleluia!"
Ciò che rende unica questa processione è che i malati non sono spettatori passivi, ma protagonisti. Il sacerdote si ferma davanti a ciascuno, benedicendoli individualmente. È un incontro personale, intimo, anche se dura solo pochi secondi.
Osservando i volti durante questi momenti, vedo trasformazioni sottili ma profonde: occhi che si illuminano, espressioni che si distendono, mani che si tendono verso l'ostensorio. È come se in quel breve istante avvenisse un dialogo silenzioso ma intenso.
Un sacerdote mi ha detto una frase che mi è rimasta impressa: "A Lourdes non aspettiamo che le persone si alzino improvvisamente dalle carrozzine. Il vero cambiamento è quando riscopriamo la dignità umana che esiste anche nella sofferenza".
Uno degli aspetti più sorprendenti di Lourdes è la presenza massiccia di giovani volontari. Li vedi ovunque: spingono carrozzine, aiutano nelle piscine, accompagnano i malati alle funzioni, servono ai pasti.
Ho parlato con alcuni di loro, curiosando su cosa li spinga a passare le vacanze in questo servizio impegnativo. Le risposte mi hanno sorpreso per la loro semplicità e profondità.
"Vengo qui pensando di dare qualcosa ai malati, ma alla fine sono io che ricevo molto di più", mi ha detto Marco, un ragazzo italiano di 19 anni. "Qui imparo cos'è veramente importante nella vita".
Una ragazza francese, Julie, mi ha confidato: "La prima volta che sono venuta, avevo paura di non saper gestire la sofferenza degli altri. Ora so che non devo 'gestirla', ma semplicemente essere presente, con tutto il cuore".
Osservando questi giovani, ho notato qualcosa di speciale nei loro occhi: una luce che non è ingenuità, ma una saggezza precoce, nata dall'incontro diretto con la vulnerabilità umana. Sorridono spesso, ridono insieme, ma non è mai una risata che esclude o che dimentica la sofferenza. È una gioia che la attraversa e la trasforma.
In un mondo che spinge i giovani verso l'individualismo e il successo personale, questi ragazzi scoprono a Lourdes una contronarrazione potente: la realizzazione di sé passa attraverso il dono di sé. La loro energia, la loro vitalità non viene soffocata dal contatto con la malattia – al contrario, trova uno scopo e una direzione.
A Lourdes, la malattia è ovunque. Eppure, paradossalmente, è il luogo dove fa meno paura.
Nel mondo quotidiano, tendiamo a nascondere la malattia, a isolarla in ospedali e case di cura, a distogliere lo sguardo. A Lourdes, invece, la malattia è esposta, visibile, integrata nella comunità.
I malati non sono relegati in spazi separati – sono al centro della vita del santuario. Le loro carrozzine occupano i posti migliori nelle basiliche, le loro voci sono ascoltate con attenzione, i loro corpi sono trattati con riverenza.
Questa inversione di prospettiva è rivoluzionaria. La persona malata non è definita dalla sua patologia, ma dalla sua umanità. Non è un problema da risolvere, ma un mistero da accompagnare.
Ho visto persone con malattie gravissime che a Lourdes trovano una libertà che spesso manca loro nella vita quotidiana: la libertà di essere se stessi, senza vergogna, senza spiegazioni, senza la costante pressione di dover "migliorare" o "guarire" per essere accettati.
Questa accettazione radicale crea uno spazio dove può accadere qualcosa di inaspettato: la guarigione interiore. Non sempre si manifesta come remissione fisica della malattia, ma come una riconciliazione con la propria condizione, una pace che non elimina la sofferenza ma la trasforma in cammino.
L'ultimo giorno, prima di lasciare il santuario, sono tornato alla grotta. Non volevo portare con me solo acqua in bottiglia o souvenir, ma qualcosa di più autentico.
Mi sono seduto sulla pietra, ho chiuso gli occhi e ho cercato di fissare nella memoria le sensazioni, i suoni, i volti incontrati. Ho capito che la vera sfida non è vivere Lourdes durante il pellegrinaggio, ma portare Lourdes nella vita di tutti i giorni.
Come conservare quella capacità di vedere oltre l'apparenza? Come mantenere quel ritmo più lento, quella presenza attenta all'altro? Come ricordare che la vulnerabilità non è debolezza ma opportunità di connessione?
Tornando a casa, ho portato con me più domande che risposte, ma sono domande che aprono cammini, che invitano a esplorare.
Ora, quando incontro una persona sofferente, quando la fragilità bussa alla mia porta, ricordo le candele alzate nella notte di Lourdes. Ricordo che la luce più autentica è quella che attraversa il buio senza negarlo.
Il pellegrinaggio continua: in ogni incontro, in ogni gesto di cura, in ogni momento in cui scelgo di essere presente invece di fuggire.
Lourdes è un luogo dove si impara a riconoscere il valore dell'ordinario: un sorriso scambiato, una mano che sostiene, un'attenzione sincera.
Da quel viaggio sono tornato con la certezza che le trasformazioni più importanti sono quelle che avvengono dentro di noi, silenziose ma profonde, come l'acqua che modella la pietra goccia dopo goccia.
La vigilia di Natale 2024 ha segnato un momento storico per Medjugorje: la Penitenzieria Apostolica ha emanato un decreto che include il santuario bosniaco tra i luoghi del Giubileo 2025. Una decisione che non solo riconosce l'importanza spirituale di questo centro di preghiera, ma apre anche nuove prospettive nel suo rapporto con la Santa Sede.
Il decreto, firmato il 24 dicembre 2024, concede alla Chiesa parrocchiale di San Giacomo Apostolo a Medjugorje privilegi straordinari per l'Anno Santo. Su richiesta di Monsignor Aldo Cavalli, Visitatore Apostolico, la Penitenzieria ha esteso a questo luogo di pellegrinaggio la possibilità di lucrare l'indulgenza plenaria durante tutto il 2025, equiparandolo così ai principali santuari giubilari.
Questa decisione si inserisce in un più ampio processo di riconoscimento dell'importanza pastorale di Medjugorje da parte del Vaticano. Un percorso graduale ma costante che ha visto, negli ultimi anni, una serie di passi significativi verso l'integrazione di questo centro spirituale nella vita ufficiale della Chiesa.
Il Giubileo, tradizione millenaria della Chiesa Cattolica che affonda le sue radici nell'Antico Testamento, rappresenta un tempo straordinario di grazia e rinnovamento spirituale. L'Anno Santo ordinario, celebrato ogni 25 anni, simboleggia un periodo di perdono universale, di remissione dei peccati, di riconciliazione e conversione.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
La tradizione giubilare si è evoluta nei secoli, arricchendosi di significati e rituali. Il simbolo più evidente è la Porta Santa, che nelle basiliche maggiori di Roma viene aperta solo durante l'Anno Santo. Questo passaggio rappresenta il cammino che ogni fedele è chiamato a compiere: dall'oscurità del peccato alla luce della grazia.
La storia di Medjugorje come centro di spiritualità mariana inizia nel 1981. Da allora, questa piccola località della Bosnia-Erzegovina ha conosciuto una trasformazione straordinaria, diventando uno dei più importanti centri di preghiera del mondo cattolico.
Il complesso del santuario si è sviluppato intorno alla Chiesa di San Giacomo Apostolo, ampliandosi progressivamente per accogliere il crescente flusso di pellegrini. Oggi comprende diverse aree significative:
La presenza di un Visitatore Apostolico a Medjugorje rappresenta un elemento chiave nel rapporto tra il santuario e la Santa Sede. Monsignor Aldo Cavalli, succeduto a Monsignor Henryk Hoser, svolge un ruolo fondamentale nel garantire una corretta gestione pastorale del luogo.
Le sue responsabilità includono:
Il cammino di Medjugorje verso il riconoscimento ufficiale ha attraversato diverse fasi. Un percorso caratterizzato da prudenza e discernimento, che ha visto momenti significativi:
Il 28 agosto 2024 segna una pietra miliare nella storia di Medjugorje con la pubblicazione della nota ufficiale "La Regina della Pace", firmata da Papa Francesco. Questo documento rappresenta la più chiara posizione del Vaticano sui fenomeni legati a questo luogo di pellegrinaggio. Punti chiave del documento:
Il Dicastero per la Dottrina della Fede, pur non pronunciandosi sulla natura soprannaturale delle apparizioni ancora in corso, ha ufficialmente riconosciuto il valore spirituale dell'esperienza di Medjugorje, aprendo così la strada all'inclusione del santuario tra i luoghi giubilari.
Il decreto della Penitenzieria Apostolica stabilisce le condizioni per l'Anno Santo a Medjugorje:
Il Santuario, in coordinamento con il Visitatore Apostolico, ha preparato un programma giubilare che include:
L'inclusione di Medjugorje tra i luoghi giubilari del 2025 segna un momento storico nel percorso di questo centro di spiritualità. Rappresenta non solo un riconoscimento dell'importanza pastorale del luogo, ma anche una nuova responsabilità nella vita della Chiesa universale.
La sfida per il futuro sarà quella di mantenere l'autenticità dell'esperienza spirituale che ha caratterizzato Medjugorje fin dai suoi inizi, gestendo al contempo le nuove opportunità e responsabilità che il Giubileo 2025 porterà con sé. Un cammino che si prospetta ricco di grazia e di sfide, nel segno della continuità con la tradizione e dell'apertura al futuro della Chiesa..
Era l'alba dell'11 febbraio 1858, e il cielo di Lourdes si stava appena risvegliando.
Chi avrebbe mai immaginato che proprio in quel giorno,
con la prima apparizione a Lourdes,
in quel piccolo villaggio ai piedi dei Pirenei francesi,
il Cielo avrebbe scelto di chinarsi così vicino alla terra?
Chi era la piccola protagonista di questo straordinario incontro?
Una ragazzina di 14 anni, Bernadette Soubirous.
Non una principessa in un palazzo,
non una ricca fanciulla in una villa,
ma una bambina che viveva con la sua famiglia
in un'ex-prigione chiamata "le cachot" (la cella),
tanto erano poveri.
Perché proprio lei?
Bernadette era la più umile tra gli umili:
Ma non è forse vero che l'umiltà attira l'umiltà?
Come il Cielo si chinò verso una mangiatoia a Betlemme,
così scelse di chinarsi verso una grotta-discarica a Lourdes.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Come avvenne il primo incontro?
Quella mattina,
Bernadette era uscita con sua sorella Toinette
e l'amica Jeanne Abadie a raccogliere legna secca.
Mentre le altre attraversarono il ruscello gelato
presso la grotta di Massabielle,
lei esitò, temendo per la sua asma.
Fu in quel momento di fragilità
che il Cielo scelse di chinarsi,
dando inizio alle apparizioni di Lourdes.
Come si manifestò questa presenza?
Prima un soffio di vento,
delicato come una carezza materna.
Poi una luce dorata nella nicchia della grotta.
E infine, Lei: una giovane Signora
di straordinaria bellezza
che guardava Bernadette
con un sorriso colmo di tenerezza.
Come appariva la misteriosa Signora?
Bernadette la descrisse così:
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Come una madre che si china ripetutamente verso il suo bambino,
così la "bella Signora" tornò 18 volte.
Quali furono i momenti più significativi?
Come comunicavano?
Con la semplicità di una madre che si china verso il suo bambino:
Il 25 marzo giunse il momento più straordinario.
Come si presentò la Signora?
Con parole che erano un inchino verso la comprensione umana:
"Que soy era Immaculada Councepciou".
Bernadette non capiva quelle parole,
ma le custodì nel cuore
e corse a ripeterle al parroco.
Come visse Bernadette dopo questi eventi?
Seguendo l'esempio di quell'umiltà celeste.
Scelse di ritirarsi nel convento di Nevers,
lontano dalla fama crescente di Lourdes.
"Il mio compito è essere malata",
diceva sorridendo,
chinandosi lei stessa davanti alla volontà divina.
Se pensate che la magia dell'11 febbraio
sia rimasta confinata in quel lontano 1858,
la storia di Riccardo, oggi CEO di Bianco Viaggi a Lourdes,
ci racconta qualcosa di diverso.
Come Bernadette,
anche lui sentì da giovanissimo il richiamo irresistibile di Lourdes.
Era appena finita la terza media quando,
di fronte all'annuncio di un pellegrinaggio parrocchiale,
sentì nel cuore qualcosa di inspiegabile.
I genitori non potevano accompagnarlo,
ma lui, con la stessa determinazione di Bernadette,
trovò il modo di unirsi al gruppo del paese.
Quel primo viaggio fu come entrare in un sogno:
il primo bagno nelle piscine,
ancora ragazzo;
la prima processione aux flambeaux nella notte stellata;
il primo incontro con la grotta,
quello sguardo alla statua che ti cambia la vita.
Da quell'estate di quasi trent'anni fa,
sono seguite centinaia di altre visite,
molte proprio l'11 febbraio,
come a voler rivivere quell'alba miracolosa del 1858.
Tra tutti i pellegrinaggi, uno brilla particolarmente nella memoria:
quello vissuto con la socia Annalisa, COO di Bianco Viaggi,
sotto una nevicata intensa.
Il freddo pungente,
lo stesso che Bernadette affrontò quel primo 11 febbraio,
rese l'esperienza ancora più autentica e toccante,
diventando uno dei pellegrinaggi più belli di sempre.
Ogni anno,
milioni di pellegrini raggiungono quella grotta.
Cosa cercano?
Forse lo stesso che trovò Bernadette:
non tanto i miracoli eclatanti,
ma la certezza che il Cielo continua a chinarsi verso di noi,
specialmente nei momenti di maggior fragilità.
In un mondo che guarda sempre più in alto,
verso grattacieli e successi,
Lourdes ci ricorda che la vera grandezza sta nel chinarsi:
un Cielo che si china verso una bambina,
una bambina che si china nella preghiera,
e un'umanità che, ancora oggi,
si china davanti al mistero di questo incontro.
E proprio come quel primo 11 febbraio,
continua a trasformare le vite di chi risponde al suo richiamo.
In Bosnia-Erzegovina, dove la Madonna apparirebbe dal 24 giugno 1981,
a Medjugorje, i segreti custoditi da Mirjana e dagli altri veggenti, stanno per svelare il loro significato più profondo.
Le apparizioni di Medjugorje sembrano entrare in una fase decisiva,
mentre il 18 marzo si conferma come data chiave
per comprendere le profezie che cambieranno il destino dell'umanità.
L'alba del 18 marzo a Medjugorje ha un sapore diverso.
Riccardo, CEO di Bianco Viaggi, che da 18 anni viene con i pellegrini in questo giorno speciale, descrive un'atmosfera unica:
"Vedere migliaia di persone che si radunano nel buio prima dell'alba, in un silenzio carico di preghiera, è un'esperienza che tocca il cuore ogni volta come la prima."
La Croce Blu, alle prime luci del giorno, diventa il cuore pulsante di Medjugorje.
Le persone arrivano fin dalla notte precedente, avvolte in coperte, con rosari tra le mani e preghiere sulle labbra.
Anno dopo anno, il numero dei pellegrini è cresciuto, ma l'intensità del momento rimane intatta.
"In 18 anni," racconta Riccardo,
"ho visto persone trasformarsi davanti ai miei occhi durante questi momenti di grazia straordinaria."
"Queste mie apparizioni qui a Medjugorje sono le ultime per l'umanità.
Affrettatevi a convertirvi!" (17 aprile 1982)
Solo due settimane dopo, il 2 maggio 1982, la Madonna rafforzò questo messaggio: "Sono venuta a chiamare il mondo alla conversione per l'ultima volta. In seguito non apparirò più sulla terra."
Parole che oggi, nel 2025, risuonano con un'urgenza senza precedenti, specialmente alla luce degli eventi recenti.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Il 18 marzo non è solo una data nel calendario di Medjugorje.
È il giorno del compleanno di Mirjana Dragićević-Soldo scelta dalla Madonna per un disegno più grande.
Quando le apparizioni quotidiane terminarono nel 1982, la Regina della Pace scelse proprio questo giorno personale per continuare a manifestarsi.
"È come se il Cielo volesse sottolineare il legame tra la vita terrena e quella spirituale," osserva Riccardo.
"In tutti questi anni, ho visto come questa coincidenza del compleanno di Mirjana tocchi profondamente i pellegrini, ricordandoci che ogni vita ha un significato nel piano divino."
Siamo in attesa dell'apparizione annuale della Madonna alla veggente Mirjiana. Siamo in tanti in questo momento a Medjugorje.
Leggi in diretta l'Ultimo Messaggio di Medjugorje >>
L'apparizione dell'anno scorso 18 Marzo 2024 ha mostrato la potenza di questo giorno speciale.
Dalle 13:23 alle 13:27, mentre migliaia di pellegrini trattenevano il respiro alla Croce Blu, Mirjana ha ricevuto questo messaggio straordinario:
"Cari figli, io sono con voi grazie all'amore misericordioso di Dio. Ed è per questo che, come madre, vi invito a credere nell'amore. L'amore che è comunione con mio Figlio. Con amore aiutate gli altri ad aprire i loro cuori per conoscere mio Figlio e per amarLo. Figli miei, l'amore fa sì che mio Figlio illumini i vostri cuori con la Sua grazia, cresca in voi e vi doni la pace. Figli miei, se vivete l'amore, se vivete mio Figlio, avrete la pace e sarete felici. La vittoria è nell'amore."
I segreti di Medjugorje pare siano custoditi in una forma unica nella storia delle apparizioni mariane: una pergamena il cui contenuto è comprensibile solo agli occhi predestinati.
Mirjiana ci ha detto che la loro struttura rivela un piano divino preciso, ma oggi ha il permesso di comunicare solo alcune informazioni :
La Madonna stessa ha dichiarato che questi segreti completano il ciclo iniziato a Fatima, creando un ponte mistico tra i due eventi che hanno segnato il XX e il XXI secolo.
Tra tutti i segreti di Medjugorje, il settimo porta un peso particolare.
La reazione di Mirjana fu così intensa da spingerla a implorare la Madonna di mitigarne gli effetti.
Solo attraverso la preghiera e la penitenza, questo castigo potrà essere attenuato.
La veggente non ha mai rivelato i dettagli di questa visione, ma il suo impatto è visibile ogni volta che ne parla.
Quando i tempi saranno maturi,
si metterà in moto un meccanismo, un cronoprogramma preciso:
"La preparazione inizia la sera prima,"
racconta Riccardo.
"I primi pellegrini arrivano quando il sole sta ancora tramontando.
Durante la notte, il rosario viene recitato in tutte le lingue immaginabili.
È come se la Torre di Babele si trasformasse nel suo opposto: invece di dividere, le lingue diverse ci uniscono nella preghiera."
La collina si riempie gradualmente.
Anziani con sedie pieghevoli, giovani seduti per terra, famiglie intere con bambini piccoli.
"In questi 18 anni," continua Riccardo,
"ho visto persone tornare anno dopo anno, ho visto bambini crescere e diventare adulti, sempre qui, in attesa della Madre Celeste."
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Quando Mirjana si inginocchia, un silenzio surreale avvolge la collina.
"In quel momento,"
spiega Riccardo,
"sembra che il tempo si fermi. Il volto di Mirjana si trasforma completamente.
Chi ha il privilegio di essere vicino può vedere le sue labbra muoversi in un dialogo silenzioso con la Madonna."
Il 18 marzo 2020 ha segnato un punto di svolta:
la fine delle apparizioni del 2 del mese.
Come rivela il messaggio del 2 giugno 2017:
"Figli miei, siate pronti: questo tempo è un punto di svolta."
Mirjana ha rivelato che
"i sacerdoti dovranno essere un ponte per condurci all'altra riva."
In questo tempo decisivo, saranno loro a guidare i fedeli attraverso le acque tempestose verso la terra promessa della nuova era.
Le profezie di Medjugorje annunciano la fine del potere del "divisore" sull'umanità. Prima della vittoria finale del Cuore Immacolato di Maria,
l'umanità attraverserà prove mai viste,
ma la Madonna assicura:
"Chi prega e digiuna non ha paura del futuro."
In un tempo segnato dalla paura,
Mirjana trasmette un messaggio sorprendente:
"Non abbiate paura di avere figli.
Dovreste piuttosto temere di non averne alcuno!"
È un invito a guardare oltre le nubi temporalesche, verso l'alba di un tempo nuovo.
La Madonna indica un cammino semplice ma profondo:
Mentre le apparizioni di Medjugorje 2025 continuano a guidare l'umanità, Mirjana assicura:
"Il mondo sarà un posto diverso, migliore."
Non siamo alla fine di una storia, ma all'inizio di un'era di straordinaria bellezza che supera ogni immaginazione.
"In questi 18 anni di pellegrinaggi,"
conclude Riccardo,
"ho imparato che Medjugorje non è solo un luogo di apparizioni, ma una scuola di vita. Ogni 18 marzo, vedo nei volti dei pellegrini la stessa speranza rinnovata, la stessa certezza che, attraverso Maria, il mondo può davvero cambiare."
Io ci credo.
Non ho paura.
Ho speranza.
Preparati a scoprire una storia che ti lascerà senza fiato!
Molto prima che il mondo intero conoscesse le apparizioni della Madonna di Fatima, qualcosa di assolutamente incredibile stava già accadendo in un angolo tranquillo del Portogallo. Una storia talmente straordinaria che ancora oggi fa battere il cuore di chi la scopre per la prima volta!
Immaginate la scena: tre bambini innocenti, un normale giorno di primavera del 1916, il sole che splende dolcemente... quando all'improvviso il mondo intero sembra fermarsi! Una luce accecante, più brillante di mille soli, e davanti a loro appare una figura che toglie il respiro: l'Angelo della Pace!
Non stiamo parlando di una semplice apparizione - questo era l'inizio di qualcosa di monumentale! L'Angelo, più splendente di qualsiasi cosa i bambini avessero mai visto, li avvolse in un'aura di pura luce celeste. Le sue prime parole? "Non temete!" (Come se fosse facile rimanere calmi in un momento del genere!)
L'estate portò con sé un'altra visita spettacolare! Pensate: state giocando tranquillamente quando, all'improvviso, l'Angelo ritorna, questa volta con un messaggio ancora più potente e urgente!
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Ma aspettate... il meglio doveva ancora venire! Nell'autunno, l'Angelo tornò per la sua apparizione più stupefacente: un calice d'oro splendente, un'Ostia sospesa in aria, gocce di sangue che cadevano... Una scena che supera ogni immaginazione!
Ed è qui che la storia diventa personale - incredibilmente personale! Io, Riccardo, CEO di Bianco Viaggi, porto nel cuore un dono prezioso che voglio condividere con voi. Quella preghiera che l'Angelo insegnò ai pastorelli? Ha letteralmente trasformato la mia vita!
Ogni volta che recito questa preghiera davanti al Tabernacolo, mi colpisce la sua profondità teologica. "Ti offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e indifferenze..." - queste parole non sono una semplice formula, ma un potente atto di riparazione.
Penso spesso al significato di "riparazione". Non si tratta solo di chiedere perdono, ma di offrire amore per compensare la mancanza di amore. Quando l'Angelo parlava di "oltraggi, sacrilegi e indifferenze", stava anticipando le sfide spirituali del nostro tempo. L'indifferenza, forse, è la più dolorosa - quante volte passiamo davanti a un Tabernacolo senza nemmeno un cenno di riconoscimento?
Durante i miei pellegrinaggi a Fatima, ho sviluppato una routine speciale: ogni mattina, prima dell'alba, mi reco alla Loca do Cabeço. Lì, nel silenzio del primo mattino, recito questa preghiera immaginando di essere insieme ai tre pastorelli mentre ricevevano l'istruzione dell'Angelo. È un momento di connessione profonda che consiglio a tutti i pellegrini di sperimentare.
Visitare la Loca do Cabeço è un'esperienza che toglie il fiato. Questo luogo sacro, situato a circa 2 km dal Santuario di Fatima, conserva ancora oggi un'atmosfera di profonda spiritualità. Durante i nostri pellegrinaggi, conduciamo spesso i gruppi qui all'alba - il momento più suggestivo per la preghiera.
Il sentiero che conduce alla Loca è un percorso di preparazione spirituale. Mentre si sale la collina, ci si trova circondati da antichi lecci e querce da sughero - gli stessi alberi che furono testimoni silenziosi delle apparizioni. Il leccio, con il suo fogliame sempreverde, sembra simboleggiare la persistenza della fede, mentre la quercia da sughero, con la sua corteccia che si rinnova, ci ricorda la costante necessità di rinnovamento spirituale.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Non tutti sanno che la seconda apparizione avvenne presso il pozzo nella proprietà della famiglia di Lucia. Oggi, questo luogo è conosciuto come il "Pozzo dell'Angelo" ed è meta di preghiera per i pellegrini più informati. Ricordo ancora la prima volta che lo visitai - la semplicità del luogo contrasta potentemente con la grandiosità degli eventi qui accaduti.
Lucia, la maggiore dei tre veggenti, aveva solo 9 anni quando vide l'Angelo per la prima volta. Quello che molti non sanno è che era una bambina vivace e intelligente, leader naturale del trio. Prima delle apparizioni, era conosciuta nel villaggio per la sua capacità di raccontare storie e organizzare giochi. Questa sua naturale leadership si rivelò provvidenziale per la trasmissione dei messaggi celestiali.
Un dettaglio commovente che ho scoperto durante le mie ricerche: Lucia, dopo le apparizioni dell'Angelo, sviluppò l'abitudine di cercare luoghi appartati per pregare. I suoi familiari la trovavano spesso nascosta tra gli ulivi, completamente assorta in preghiera.
Francesco, forse il meno conosciuto dei tre, era un bambino di straordinaria sensibilità spirituale. Durante le apparizioni dell'Angelo, lui non poteva udirne le parole - poteva solo vederlo. Questo "silenzio" lo portò a sviluppare una profonda vita contemplativa. Passava ore davanti al Tabernacolo della chiesa parrocchiale, che chiamava "il Gesù nascosto".
Un aneddoto toccante riguarda il suo flauto: Francesco amava suonare per le pecore, ma dopo le apparizioni dell'Angelo, utilizzava il suo strumento solo per accompagnare le preghiere che l'Angelo aveva insegnato loro.
Giacinta, con soli 6 anni, era la più giovane del gruppo. Dopo le apparizioni dell'Angelo, sviluppò una particolare sensibilità per la presenza eucaristica. I testimoni dell'epoca raccontano che poteva percepire istintivamente quando un tabernacolo era stato profanato, e questo la faceva soffrire intensamente.
Un dettaglio poco noto: Giacinta aveva l'abitudine di raccogliere fiori selvatici e porli davanti ai tabernacoli delle chiese che visitava, dicendo che voleva "consolare Gesù per quelli che non ci pensano".
Oggi, la Loca do Cabeço è molto diversa da come appariva nel 1916. Eppure, alcuni elementi rimangono immutati: i massi granitici dove l'Angelo apparve, l'antica vegetazione mediterranea, il silenzio che avvolge il luogo. Durante i nostri pellegrinaggi, spesso noto come i visitatori rimangano colpiti dal contrasto tra la semplicità del luogo e la grandiosità degli eventi qui accaduti.
Si è sviluppata una bella tradizione tra i pellegrini più devoti: arrivare alla Loca do Cabeço prima dell'alba, proprio come facevano i tre pastorelli con le loro pecore. Il momento in cui i primi raggi del sole illuminano i massi granitici crea un'atmosfera che sembra riecheggiare la luce celestiale dell'Angelo.
Come guida di pellegrinaggi, ho visto innumerevoli volte l'effetto che questa preghiera ha sui visitatori quando ne scoprono il significato profondo. Ricordo un gruppo di giovani pellegrini che, dopo aver appreso la storia dell'Angelo e la preghiera di riparazione, decisero spontaneamente di organizzare turni di adorazione nelle loro parrocchie.
Vi invito a fare parte di questa storia continua. Parti con noi per Fatima. Che siate pellegrini esperti o alle prime armi, la Loca do Cabeço e la preghiera dell'Angelo hanno qualcosa di speciale da offrirvi. E chissà, forse un giorno ci incontreremo lì, all'alba, mentre i primi raggi del sole illuminano quei massi sacri dove tutto ebbe inizio.
Riccardo CEO Bianco Viaggi
"Quando i viaggi diventano miracoli. Dove il cielo tocca la terra."
Questa non è la solita guida ad Assisi. È la storia di come un ragazzo del 1200 e un giovane del nostro tempo hanno stravolto le regole del gioco, ciascuno a modo suo. E di come una città in Umbria sia diventata l'epicentro di due rivoluzioni d'amore separate da otto secoli.
Assisi, 1206. Un ragazzo si spoglia nudo in piazza. Non è uno scherzo, non è una provocazione. È Francesco Bernardone che manda in cortocircuito il suo tempo mollando tutto - soldi, vestiti pregiati, futuro assicurato - per "una follia d'amore".
I presenti pensano sia impazzito.
Non sanno che stanno assistendo al primo episodio di una rivoluzione che durerà secoli.
Milano, 2006. Un quindicenne sta creando un sito web sui miracoli eucaristici mentre i suoi coetanei navigano sui primi social.
Ha le scarpe da ginnastica ai piedi e un computer sulle ginocchia.
Si chiama Carlo Acutis e sta per dimostrare che si può essere santi anche con la tecnologia in mano.
Colpo di scena: questi due ragazzi, a otto secoli di distanza, hanno più cose in comune di quanto pensi.
Francesco era il re delle feste di Assisi, Carlo era appassionato di informatica. Francesco vestiva alla moda del suo tempo, Carlo indossava jeans e scarpe da tennis. Entrambi hanno fatto quello che nessuno si aspettava: hanno reso la santità contagiosa.
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Sì, Carlo era di Milano. Eppure ha scelto di riposare per sempre nella città del Poverello. Non è stato un caso o una decisione presa da altri. È stato proprio lui, prima di morire, a esprimere questo desiderio.
"Voglio essere sepolto ad Assisi", disse ai suoi genitori.
La città di Francesco lo aveva conquistato.
Ci veniva spesso, la considerava un luogo speciale dove il Cielo sembrava più vicino. E ha voluto che il suo corpo riposasse proprio nel Santuario della Spogliazione, dove Francesco si era spogliato di tutto per seguire Dio.
Un quindicenne di Milano che sceglie di essere sepolto dove un giovane del 1200 ha rinunciato a tutto.
Coincidenza?
No, è molto di più.
È come se Carlo avesse capito che la sua storia e quella di Francesco erano due capitoli dello stesso libro.
Un libro che continua a essere scritto, proprio qui ad Assisi.
Ti porto in giro.
Ma dimenticati le solite guide turistiche.
Qui ogni angolo racconta storie di ribellione santa, ogni pietra nasconde una scintilla di follia divina.
Non è solo un capolavoro d'arte.
È il quartier generale della rivoluzione francescana.
Qui sotto, nella cripta, riposa lui.
Il ragazzo che ha fatto tremare il Medioevo con un "sì" totale all'amore.
Un segreto: vai alla cripta all'alba.
Quando il silenzio è così denso che potresti toccarlo.
Quando i primi raggi di sole filtrano dalle vetrate e ti sembra di sentire Francesco che sussurra: "Chi sei tu, dolcissimo Iddio mio? Chi sono io?"
Fai il tuo primo passo.
Il tuo pellegrinaggio inizia così.
Ecco il colpo di scena: il luogo dove Francesco si è spogliato di tutto ora custodisce Carlo Acutis.
Non è un caso.
È qui che la storia fa una capriola: dove un giovane del 1200 ha lasciato i vestiti firmati, un ragazzo del 2000 ha portato il suo computer.
La Porziuncola è come uno scrigno dentro uno scrigno.
Entri pensando di fare una visita veloce, esci trasformato.
Francesco lo sapeva bene. Carlo lo ha riscoperto.
È qui che capisci che le rivoluzioni più grandi iniziano nei luoghi più piccoli.
Francesco parlava agli uccelli. Sembrava pazzo, ma aveva capito tutto.
Aveva compreso che l'amore di Dio va raccontato in ogni lingua, anche in quella della natura.
Predicava nelle piazze, cantava nei boschi, parlava con il lupo.
La sua comunicazione? Diretta, spiazzante, universale.
Carlo parlava attraverso i pixel. Creava siti web mentre i suoi amici giocavano alla play station.
Pazzo anche lui?
Forse.
Ma aveva capito che Dio può viaggiare anche attraverso un cavo ethernet.
La sua comunicazione? Moderna, immediata, globale
La rivoluzione dell'amore. Francesco lascia il palazzo del padre per abbracciare i lebbrosi.
Carlo abbandona i videogiochi per creare un sito sui miracoli eucaristici.
Due follie che hanno la stessa radice: un amore che non si accontenta.
La famiglia che non capisce (subito). Pietro Bernardone grida al figlio impazzito quando Francesco restituisce i vestiti.
I genitori di Carlo, poco praticanti, rimangono spiazzati quando il figlio chiede di fare la Prima Comunione in anticipo.
Ma l'amore cambia tutto: il padre di Francesco finirà per piangere il figlio santo, i genitori di Carlo diventeranno testimoni della sua santità.
Gli amici che restano affascinati. Francesco attira Bernardo, il ricco mercante che una notte decide di seguirlo.
"Maestro, da quella notte non dormo più", gli confessa.
Carlo conquista i compagni di classe con la sua gioia contagiosa.
"Venivano da me per imparare a programmare", raccontava, "e finivamo per parlare di Gesù".
Francesco e il presepe di Greccio. Era il Natale 1223 quando Francesco volle "vedere con gli occhi del corpo" il Bambino di Betlemme.
Organizzò il primo presepe vivente della storia.
Le cronache raccontano che il fieno usato per la mangiatoia, conservato, guariva gli animali malati.
Carlo e il suo "kit di santificazione". Nel suo zaino teneva sempre il rosario, le immaginette dei santi e un mini computer.
"La tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio", diceva ai compagni di scuola perplessi
Francesco e il lupo. Tutti conoscono la storia del lupo di Gubbio, ma pochi sanno che Francesco lo chiamava "fratello lupo" ancora prima di ammansirlo.
E il lupo, raccontano le cronache, alla morte del santo, ululò di dolore per giorni.
Carlo e il cane randagio. Ogni mattina, prima di andare a Messa, lasciava cibo a un cane randagio.
"Se ami davvero Gesù", diceva, "non puoi non amare le sue creature".
Il cane lo aspettava ogni giorno allo stesso angolo.
Ed ecco la notizia che sta facendo il giro del mondo: Carlo Acutis diventerà santo. Non un santo qualunque: il primo millennials della storia a salire agli onori degli altari. E c'è di più: per la prima volta nella storia della Chiesa, i genitori di un santo saranno lì, in Piazza San Pietro, a vedere loro figlio proclamato santo.
La velocità della santità.
Francesco d’Assisi venne proclamato santo il 16 luglio 1228, appena due anni dopo la sua morte.
Fu Papa Gregorio IX a canonizzarlo, proprio ad Assisi: lo stesso cardinale Ugolino che da vivo lo aveva protetto e sostenuto.
Oggi, otto secoli dopo, Carlo segue le sue orme: dalla beatificazione del 2020 alla canonizzazione del 2025, la sua santità corre veloce come i bit del suo computer.
Due giovani, due epoche, due storie di santità che non hanno dovuto attendere secoli per essere riconosciute.
I ricordi di mamma Antonia: "Carlo trasformava il quotidiano in straordinario. Un giorno mi chiese di accompagnarlo a fotografare tutti i miracoli eucaristici d'Europa. Pensavo fosse un capriccio, era l'inizio di qualcosa di grande".
Il computer come pulpito: Nel suo studio, oggi conservato come una reliquia, Carlo passava ore a programmare.
"Non sta perdendo tempo?", si chiedeva papà Andrea. Quel sito sui miracoli eucaristici oggi è tradotto in 17 lingue.
L'ultimo regalo: Prima di morire, Carlo chiese ai genitori di continuare la sua missione.
"Il sito sui miracoli eucaristici", disse, "non è mio, è di Gesù".
Oggi i suoi genitori girano il mondo raccontando come il loro "piccolo nerd di Dio" sia diventato un faro per i giovani.
La malattia come offerta: "Offro le mie sofferenze per il Papa e per la Chiesa", disse quando scoprì della leucemia.
I genitori lo videro sorridere fino all'ultimo.
"Non piangete", diceva, "vado da Gesù. Sono felice".
Nel 2024, Assisi continua a essere un magnete per chi cerca qualcosa di più.
Per chi è stanco delle copie e vuole riscoprire l'originale.
Per chi, come Francesco e Carlo, ha il coraggio di essere "santo della porta accanto".
Non serve essere perfetti. Francesco era un ragazzo di festa diventato santo.
Carlo era un appassionato di informatica con una passione più grande per Gesù.
La loro ricetta?
Assisi ti aspetta. Non come una città cartolina, ma come un luogo vivo dove due ragazzi, a otto secoli di distanza, hanno dimostrato che la santità non ha tempo.
Francesco ti dice che puoi lasciare tutto per trovare tutto.
Carlo ti ricorda che puoi essere santo anche con lo smartphone in tasca.
E Assisi... Assisi ti sussurra che è il tuo momento di essere originale.
Pronto a unirti a questa rivoluzione?
Scopri i nostri pellegrinaggi ad Assisi.
Perché certe emozioni hanno bisogno di essere vissute di persona.